Giuseppe Casadio ci propone su Il diario del lavoro una ricostruzione veritiera di un decennio di vicende relative al mercato del lavoro, alle politiche e alle battaglie che hanno ruotato intorno a tale tema. Mi sento solo di aggiungere una considerazione intorno a un risvolto dell’accordo separato sui contratti a termine. Oltre a tutte le novità commentate si procede alla abolizione del diritto di precedenza. E’ la misura più velenosa che si possa immaginare. Per tutti i lavoratori stagionali era scontato il diritto a essere riassunti la stagione dell’anno successivo. E’ stato necessario battagliare nei contratti per ripristinare questo diritto spazzato via con una firma. E’ stato ripristinato anche nella recente legge sui contratti a termine seppure in maniera pasticciata nella procedura di sua attuazione.
La vicenda tuttavia si inquadra in uno scenario fatto di tante altre situazioni e problematiche di una condotta Cgil per niente affatto convincente.
Provo a descrivere.
Nel 1998 viene costituito NIdil (Nuove identità di lavoro) e si pretende di definirlo sindacato. Mia opinione era che dovesse trattarsi di una struttura confederale di coordinamento, elaborazione e direzione delle politiche da realizzare nei confronti di questo nuovo mondo di lavoro. Quindi anche sollecitatore verso le categorie e le strutture periferiche a mettere le mani sulla novità. Averlo definito sindacato (quindi titolare di rappresentanza) ha prodotto due effetti negativi: per un verso ha aperto un conflitto con le organizzazioni di categoria su chi rappresentasse questi lavoratori; dall’altro ha rappresentato un ottimo pretesto per le categorie medesime per lavarsene le mani dal momento che il compito toccava a Nidil. Soltanto dopo qualche anno si è arrivati ad elaborare un’idea nuova: copromozione, cioè lavorare insieme alle categorie. Nel settore del commercio, appena qualche mese dopo la nascita di Nidil abbiamo un primo esempio di come l’impostazione fosse sbagliata. Si creano le condizioni per un negoziato finalizzato a un protocollo aggiuntivo al contratto nazionale che regolamentasse i rapporti di collaborazione. Filcams comunica agli altri sindacati e a Confcommercio che la delegazione Cgil è costituita da due entità: Filcams medesima e Nidil. Tutti accettano la novella. Dopo due-tre incontri Nidil non si presenta più alla trattativa. Motivo: non è nostro il ruolo determinante nella squadra Cgil. Quasi comico. Purtroppo non si arriva a una conclusione. Singolarissimo il motivo. Sono i cislini a dire “meglio non farne niente; meglio aspettare la legge”. Era effettivamente in discussione un disegno di legge sulla materia. Risultato: né contratto, né legge.
3 dicembre 2003. Si fa un convegno nazionale della Cgil nel quale si proclama definitivamente come sia “inutile negare in conclusione che l’esperienza dei contratti di riallineamento è stato un primo generoso tentativo di intervenire in maniera strutturale sul fenomeno del lavoro nero nel nostro paese. Non è stato agendo però sull’eccezionalità che si è riusciti a produrre risultati efficaci e duraturi”. Quindi semplificando, generosi ma un po’ coglioni quelli che ci hanno provato dal momento che si sarebbero esercitati in politiche fondate soltanto sulla “riduzione del costo del lavoro a danno dei lavoratori”. Si fa anche una Conferenza a Bari per annunciare la buona novella e ed esce un libro Ediesse (Lavoro nero e qualità dello sviluppo) firmato da Alessandro Genovesi con prefazione di Guglielmo Epifani. Siamo nel 2004, si enunciano quattordici proposte ispirate all’idea che “contrastare l’economia irregolare diviene una delle priorità del paese” dal momento che il fenomeno è riconosciuto come “componente strutturale del nostro sistema produttivo”. Le proposte danno luogo a “un mix di politiche e strumenti che abbiano come baricentro la capacità del territorio di alimentare percorsi virtuosi, dove l’emersione sia la premessa per un rafforzamento della capacità competitiva dei sistemi locali”. Non è mai detto, in verità, cosa debba fare il sindacato se non il “fertilizzatore sociale” per “individuare strumenti che altro non siano che una “declinazione” di politiche buone e utili in sé”. Da ciò deriverebbe la ricostruzione “anche di quel senso civico” che avrebbe per effetto automatico e duraturo il rispetto delle regole. Si sfugge talmente dall’idea di contrattazione arrivando a enunciarne una singolarissima: prevenzione.
Sono vicende contestuali a un dibattito sugli assetti contrattuali ancora non indagato come meriterebbe. In casa Cisl Guido Baglioni propone quella che poi diventerà la linea Marchionne: chi fa contrattazione aziendale esce dal contratto nazionale. E’ una tesi che in Cisl viene sconfitta soprattutto dalle categorie. Cisl propone tuttavia di dare maggior valore alla contrattazione decentrata, mentre Cgil enfatizza il valore del contratto nazionale fino alla contrapposizione. Quella della contrattazione territoriale ancorché integrativa è poi considerata quasi una deviazione. Ho vissuto malamente questa discussione. Anche alla luce della concreta esperienza contrattuale fatta nel commercio dichiarai che sarebbe stato preferibile un contratto nazionale meno ricco con una contrattazione decentrata fatta a tappeto aziendale, di gruppo e territoriale. Avrebbe dato luogo a maggiori differenze sulla carta, ma negoziate invece che decise unilateralmente dalle aziende, oltre i minimi contrattuali, ma anche molto sotto. La prova che sarebbe andata così non può esistere e quindi si può sostenere che sarebbe stato un fiasco maggiore. Adesso la discussione è altra. Si affaccia perfino la tesi del salario minimo di legge che, per taluni dei proponenti, vuol dire picconare il sistema contrattuale insieme ai soggetti organizzati che ne sono protagonisti.
Gennaio 2013. Ediesse pubblica un opuscolo che si chiama “In-flessibili”; sottotitolo: “Guida pratica della Cgil per la contrattazione collettiva inclusiva e per la tutela individuale del lavoro”. E’ il risultato di una lavoro collettivo. Prefazione congiunta di due segretari confederali e controcopertina con dichiarazione di Susanna Camusso: “Riconosco che abbiamo sbagliato a non usare la forza collettiva dei più garantiti per difendere anche le persone senza contratto o con contratto atipico. Bisogna continuare a domandarsi dove si è infranta la solidarietà tra i lavoratori stabili e non stabili, e quando ci si è rassegnati all’idea che i contratti non fossero più il luogo dove definire norme per il mercato del lavoro”. Molti commentatori la interpretano come una svolta e si aspettano che venga formalizzata traducendola in condotta generale dell’organizzazione. In verità al successivo XVII° Congresso il tema è trattato marginalmente. Non ci sono svolte. C’è una crescente dedizione di strutture a mettere mano al problema. Si negoziano, e sono apprezzati, accordi fatti di gradualità.
Aldo Amoretti