L’accordo tra Confindustria e sindacati sulla contrattazione non è dietro l’angolo, a dispetto di quanto pure si è detto nei giorni scorsi. La situazione è talmente complessa, che anche partendo con le migliori intenzioni assolvere questo compito sarà molto difficile. A pensarlo è Piero Albini, il responsabile della direzione Lavoro e welfare della confederazione degli industriali e così si è espresso nei giorni scorsi tenendo una lezione alla Facoltà di sociologia dell’università di Roma La Sapienza. Albini non lo ha detto per pessimismo, ma osservando nei suoi esatti termini la situazione che si è venuta a creare dopo la firma di alcuni contratti nazionali e dopo che i sindacati hanno messo a punto un loro documento sul futuro della contrattazione che è stato respinto senza possibilità di appello dal Consiglio generale di Confindustria.
Il ragionamento di Albini è molto fermo. Abbiamo avuto un’occasione, ha detto, l’abbiamo sprecata, adesso la situazione è compromessa, non puoi far cambiare opinione a chi ha scelto una via diversa, non è più il tempo di cucire un abito che vada bene a tutta la Confindustria. Almeno finché saranno in vigore i contratti firmati in questi mesi, quindi per i prossimi tre o quattro anni. L’occasione è venuta quando Confindustria e i sindacati hanno firmato, il 28 giugno del 2011, il primo grande accordo sulla contrattazione dopo quello, separato, del 2009. Allora fu compiuta una scelta precisa, innovando la pratica delle relazioni industriali, fino a quel momento basate sul concetto del rapporto di forze. Allora, e ancora più compiutamente con il testo unico del gennaio del 2014, si decise che valeva anche nelle relazioni industriali il principio di fondo della democrazia, che se la maggioranza decide di fare un accordo, questo vale per tutti e la minoranza, per quanto in disaccordo, non può mettersi di traverso. Tanto che furono previste perfino delle sanzioni contro chi non obbediva a questa regola. Un “ordinamento intersindacale”, come, ha ricordato Albini, lo avrebbe chiamato Gino Giugni.
Un accordo importante, che fu sottoscritto da 36 associazioni, praticamente da tutti. Poi si trattava di andare avanti e dare le regole della contrattazione e per questo Confindustria, nel 2014, ha avanzato una proposta mettendo a punto un documento e cercando di condividerlo con i sindacati: che, però, ha chiosato Albini, non hanno mai prestato l’attenzione che era invece necessaria. La contrapposizione è nata lì, con Confindustria che proponeva di studiare assieme nuove regole che tenessero conto di come era cambiato il mondo, e i sindacati che invece hanno deciso di non completare quella riforma e cercare di rinnovare i contratti con le vecchie regole, distribuendo un po’ di ricchezza, che peraltro non c’era. Non era facile tenere assieme tutto il mondo di Confindustria, che è assai differenziato, soprattutto tra falchi e colombe, sostanzialmente tra chi ha il costo del lavoro per unità di prodotto alto e chi invece lo ha un po’ più basso e può guardare ai rinnovi contrattuali con serenità. Comunque i sindacati non hanno voluto mettere a punto queste nuove regole, hanno scelto di cercare il proprio utile a breve termine e così sono stati firmati degli accordi, che nei fatti adesso hanno cristallizzato la situazione, per cui per tutta la vigenza di questi contratti la situazione resterà immobile.
Insomma, secondo Albini, quindi secondo Confindustria, ormai le scelte sono state fatte e indietro non si può tornare. Tanto più che poi i sindacati hanno messo a punto una loro proposta nel gennaio del 2016 che però il Consiglio generale di Confindustria ha bocciato senza possibilità di appello. L’opinione di Albini è che è stato un grave errore perdere l’occasione di scrivere le nuove regole assieme tenendo conto del fatto che i contratti devono servire a creare ricchezza e non a dividerla, soprattutto se questa ricchezza poi non c’è. Un’occasione persa, nella sua visione, anche perché le relazioni sindacali non sono un’esigenza assoluta, accanto esistono anche, e rischiano di diventare sempre più importanti, le relazioni dirette, personali, quelle che le imprese possono avere direttamente con i propri dipendenti, attuando una disintermediazione potenzialmente molto incisiva.
Massimo Mascini