L’ipotesi di accordo raggiunta al Ministero del lavoro, alla presenza dei rappresentati del Ministero dello Sviluppo Economico, Regioni e Nicola Centrone a nome della Presidenza del Consiglio, tra la multinazionale Micron e il Coordinamento sindacale scongiura i 419 licenziamenti annunciati e tutela lavoratori e professionalità e conferma la presenza industriale dell’azienda nel nostro Paese.
L’accordo che dovrà essere votato delle assemblee dei lavoratori , prevede l’impegno industriale di Micron e l’avvio di un piano triennale di ristrutturazione, investimenti per 20 milioni di dollari, la focalizzazione delle attività di ricerca dei siti locali di Agrate-Vimercate, Arzano, Avezzano, Catania e Padova. E’ previsto che si attui un monitoraggio preciso bimestrale dell’andamento del piano, e i problemi occupazionali vengano affrontati congiuntamente, evitando così il rischio di atti e forzature unilaterali dell’azienda.
Sui contenuti di questo accordo e sull’insegnamento da trarre da questa esperienza, abbiamo sentito Nicola Alberta coordinatore nazionale Fim-Cisl Micron e ST.
Alla luce di questa intesa e scongiurati i 419 licenziamenti, quale è stato il percorso e quali le maggiori difficoltà nel trovare un punto d’incontro?
Siamo partiti con incredulità.La Micronera un’azienda in ottimo stato economico, globalizzata, insediata in un settore strategico dell’alta tecnologia, aveva appena proceduto in Giappone all’acquisizione di un altro importante produttore Elpida, che prometteva sinergie e espansione sul mercato.
Nessuna avvisagli dei problemi che stavano maturando?
L’annuncio dell’agosto 2013 di un taglio del 5% degli organici a livello mondiale ci aveva un po’ messi in allarme, ed eravamo in attesa delle ricadute in Italia, ma nessuno immaginava il taglio del 40% che poi è stato messo in atto.
Come avete reagito?
Nella conduzione della vertenza abbiamo seguito un percorso di coinvolgimento ampio dei lavoratori e di sensibilizzazione delle istituzioni, non solo sul problema occupazionale, ma in particolare sulla necessità di preservare il capitale umano, professionale e sociale messo a rischio.
Avete trattato anche con l’azienda?
Abbiamo ascoltato le motivazioni della Micron, inquadrabili in una logica puramente finanziaria, ma irrazionali sul piano industriale, e ciò ci ha indotto all’elaborazione di controproposte focalizzate sul rilancio delle eccellenze industriali del nostro Paese e sulle competenze di alto livello consolidate da tempo.
Quale è stata la difficoltà maggiore che avete incontrato?
Quella di tipo culturale: la multinazionale ci ha ricordato in continuazione che negli Usa la riduzione dell’occupazione per le imprese è agevole e veloce. Abbiamo obiettato che forse, su questo piano, il sistema americano non era propriamente quello migliore, e non è stato semplice per noi convincerli del contrario.
Quali sono state secondo lei le innovazioni e i punti di maggiore di importanza di questa intesa?
La Micronsemiconductor italiana ha un ruolo definito nel settore della microelettronica, sulla ricerca, la progettazione e lo sviluppo. Ad ogni competenza, con relativo possesso di know how personale, ad ogni professionalità, corrisponde in modo diretto una potenzialità di business, una presenza industriale, uno spazio nel mercato globalizzato.
Siamo riusciti a convincere il governo e le istituzioni sulla necessità, vitale per il nostro paese, di non disperdere le professionalità e le competenze, e sull’importanza di valorizzare al massimo la presenza nel segmento delle tecnologie abilitanti, cioè quelle trasversali a tutti i settori industriali, che consentono di collocarsi nella fascia alta nei comparti manifatturieri.
Un punto importante dell’intesa è rappresentato dall’incontro tra l’interesse del paese, interpretato dal governo e dalle istituzioni a sostenere l’alta tecnologia, e quello delle imprese, Micron e St microelectronics in primis, in quanto realtà coinvolte, a svolgere fino in fondo la propria missione industriale. Su questo il sindacato e i lavoratori hanno saputo convincere e vincere. E’ fondamentale, se vogliamo rilanciare l’industria, valorizzare le leve tecnologiche, a partire da quelle di cui disponiamo, per poterne creare di nuove. L’innovazione si è realizzata nella sperimentazione in concreto di cosa significhi politica industriale: indirizzi e impegni istituzionali che sollecitano e sostengono progetti di investimento industriali.
Avete trovato la collaborazione delle istituzioni?
Possiamo dire che il governo ha affiancato il sindacato nel negoziare le scelte industriali della Micron. Il concorso di queste spinte ha indotto l’azienda a rivisitare il proprio piano, a ridefinire gli ambiti delle attività di ricerca e le missioni dei singoli siti locali, dall’automazione, al design, all’automotive, a rafforzarne alcuni e a riportarne indietro altri.
Altrettanto, il ruolo del governo è stato determinante nel coinvolgerela Stmicroelectronics, a controllo dei governi italiano e francese, e nell’ottenere da questa l’impegno a un significativo riassorbimento del personale di Micron.
Non vi siete solo adagiati sul ricorso agli ammortizzatori sociali?
Emerge quindi un aspetto originale nella vicenda, è stato costituito dalla posizione sindacale che non ha posto l’accento sul ricorso agli ammortizzatori sociali, bensì sulla ricerca attiva di opportunità occupazionali corrispondenti in qualità, che dovranno manifestarsi in particolare sul territorio, oltre alle posizioni disponibili a livello globale del gruppo, cui i singoli lavoratori potranno aderire volontariamente.
L’accordo rappresenta un passo avanti nei rapporti tra le parti sociali? Oppure si nutre ancora di strutture ideologiche?
E’ un passo avanti nelle relazioni tra azienda e sindacato. Dalla diffidenza della prima fase ampiamente manifestata dal management americano nei confronti del sindacato italiano, siamo passati alla faticosa presa di consapevolezza dell’importanza decisiva di questo rapporto.
Si sente però la mancanza di una legislazione di sostegno alla partecipazione dei lavoratori, in attuazione dell’art. 46 della Costituzione, che favorirebbe il dialogo paritario con le imprese e la ricerca di soluzioni ai problemi.
Le difficoltà sono finite?
No, ci aspetta un’impegnativa gestione dell’accordo, e permane il rischio dei ritorni dei “pregiudizi” da parte aziendale. Dovremo sapere conservare e potenziare le relazioni sindacali e la rete di rapporti tra azienda, istituzioni centrali e locali e lavoratori, per favorire il consolidamento delle aree tecnologiche locali, per assicurare pieno successo ai percorsi di riqualificazione e di ricollocazione occupazionale, e per lo sviluppo del tessuto industriale.
Qual è secondo lei oggi, in un ‘epoca di crisi economica e precarietà del lavoro, il ruolo del sindacato?
In una fase di stallo del negoziato con Micron, nel richiamare Don Milani, abbiamo sollecitato l’azienda ad avere con i propri collaboratori l’atteggiamento che egli insegnava nella sua opera pastorale ed educativa: il farsi carico dei problemi e l’aver cura delle persone.
La Micron, come tutte le aziende, e in sommo grado le multinazionali, si sentono custodi di una presunta infallibilità e razionalità economica. Spesso in contrapposizione con le preoccupazioni per il sociale e le persone, considerate erroneamente quale appesantimento della libera iniziativa imprenditoriale.
E’ il rifiuto della realtà economica?
No, Non chiediamo di sostituire il dogma economico, ma di arricchirlo. L’irrazionalità economica può trasmutarsi e divenire razionale se contiene in sè responsabilità sociale, cura per il territorio, rispetto per le persone. Questo assunto però non nasce da sè, è una conquista da ottenere, che richiede idee e impegno, e la mobilitazione e la partecipazione dei lavoratori e del sindacato rimane indispensabile.
Azzurra Taraborelli