Agricoltura, un settore felice, almeno per quanto si riferisce alle relazioni sindacali. Da almeno dodici anni regna la pace sociale, che le recenti disposizioni del governo non dovrebbe mettere in pericolo. Romano Magrini, responsabile delle relazioni sindacali di Coldiretti, indica due settori sui quali deve adesso concentrarsi l’attenzione delle parti sociali, il sommerso e il costo del lavoro. Ma dalla ricerca del consenso, dice, non si deflette.
Magrini, che relazioni sindacali state vivendo nel settore dell’agricoltura?
Per fortuna, buone, abbastanza buone. Non si può certo dire che stiamo attraversando un periodo di tranquillità, considerando le grandi difficoltà del paese. Ma per quanto si riferisce alle relazioni sindacali, il settore dell’agricoltura vive un periodo abbastanza sereno che le ultime decisioni del governo non dovrebbero compromettere.
E’ il frutto di una sana politica sindacale?
Anche di quella. E’ dal 1998, quando rompemmo con la Cgil in occasione di un rinnovo contrattuale, che non ci sono accordi separati nel nostro settore. La regola adesso è la pace sociale, acquisita e mantenuta anche non tentando mai passi avventati, procedendo con cautela ed essendo sempre attenti alle esigenze di tutti.
Diceva che l’ultima rottura avvenne nel 1998?
Sì, per il rinnovo di un contratto nazionale. Quando sparirono i minimi individuali, sostituiti da minimi di gruppo, e soprattutto quando è stata spostata nel territorio, che per noi è il livello provinciale, la contrattazione dei salario aggiuntivo. Da allora i contratti sono sempre stati rinnovati con questo impianto, accettato da tutti.
Un sistema che funziona.
Sì, molto. E ultimamente abbiamo cercato di rafforzare questo impianto razionalizzando tutti gli interventi della bilateralità. Abbiamo creato due nuovi enti, l’Eban, l’ente bilaterale agricolo nazionale, e il Fisa, il nostro fondo autonomo per la sanità e l’assistenza. Adesso stiamo lavorando per creare enti bilaterali al livello provinciale.
Sempre con l’accordo di tutti i soggetti sociali?
Sì, tutti, anche la Cgil. Del resto, noi, dopo il protocollo del 22 gennaio 2009, quello non firmato dalla Cgil, abbiamo raggiunto un’intesa per un accordo generale che attuasse i principi del protocollo e siamo riusciti ad avere il consenso anche di Corso Italia.
Come ci siete riusciti?
Abbiamo lavorato sulle deroghe, prevedendo che ci siano, ma adattandole alle esigenze del settore. Abbiamo previsto che in presenza di crisi di settore o provinciale si possano chiedere delle deroghe al livello nazionale. Abbiamo, in pratica, mantenuto un controllo da parte del livello nazionale, riuscendo ad ottenere un consenso generale.
Quali sono adesso i problemi principali del settore?
Soprattutto il sommerso.
Ce ne è molto in agricoltura?
E’ soprattutto un problema di grigio, più che di nero. Non vengono sempre dichiarate tutte le giornate di lavoro fatte. Spesso per competere con gli altri stati le aziende agricole non denunciano tutte le giornate. Per riuscire a evitare queste pratiche dovremmo forse avere un aiuto maggiore al made in Italy, perché spesso la concorrenza è troppo forte per resistere.
Cosa avete chiesto?
Diversi interventi, a seconda dei settori, ma a volte basterebbe anche poco. Un caso per tutti, quello dei succhi di arancia. Adesso è sufficiente una percentuale del 12% di frutto perché possa chiamarsi succo d’arancia. Se quella percentuale salisse, anche di poco, le nostre arance avrebbero ben altro mercato e non dovremmo, come troppo spesso accade, lasciarle sugli alberi.
Le disposizioni dell’articolo 8 del decreto del governo rischiano in qualche modo di incrinare la pace sociale che regna in agricoltura?
Non credo. Nel nostro settore il 90% dei rapporti di lavoro sono a tempo determinato, quindi tutto il discorso sulla licenziabilità ci tocca molto poco. Diciamo che queste disposizioni ci spingeranno a sederci tutti attorno a un tavolo per riflettere, per esempio sul concetto di flessibilità, per capire come intervenire sugli orari di lavoro, per alcune tipologie di lavoro, quello negli agriturismi, dove certamente si lavora di sabato e di domenica, o quello nelle stalle, dove si comincia nelle prime ore del giorno. Ma dovremo riflettere anche sul costo dl lavoro.
Avete dei problemi al riguardo?
Solo per gli stagionali, perché il costo del lavoro è molto più alto di quanto non sia nei paesi nostri concorrenti, Spagna, Grecia, per parlare solo di paesi europei.
Cosa chiedete?
Due cose. Da un lato una riduzione del costo, perché, appunto, siamo in presenza di un squilibrio forte che ci penalizza. E, ancora, vorremmo uno snellimento delle procedure per l’assunzione di lavoratori per periodi molto brevi, specie quando sono assunzioni numerose. Le aziende assumono lavoratori, anche tanti, per periodi anche molto brevi, due settimane, per esempio, e l’iter da seguire è sempre molto complesso. Non è possibile che la procedura sia la stessa se si prende una persona per un anno o invece per dieci giorni.
Avete in scadenza qualche contratto?
Parte adesso la trattativa per il contratto degli impiegati agricoli, 30mila lavoratori.
Una trattativa difficile?
Non dovrebbe proprio esserlo. Le piattaforme che sono state già presentate non contengono elementi tali da metterci in allarme.
Massimo Mascini