L’azienda contesta ad un suo dirigente una pluralità di condotte sleali e infedeli, per avere consentito la partecipazione della moglie nelle attività di società concorrenti approfittando del suo inserimento all’interno della organizzazione imprenditoriale con un ruolo elevato fiduciario, di direttore tecnico e responsabile della Regione Campania, aggravata dall’occultamento alla proprietà ed al Consiglio di amministrazione della situazione di conflitto di interessi che coinvolgeva anche l’operato del precedente amministratore. Ugualmente infedele ed in contrasto con il dovere di diligenza è l’indebita percezione ad opera del dirigente di buoni pasto per cifre assai elevate prive di causale.
La Corte di Appello ha circoscritto l’esame degli addebiti agli episodi che hanno visto il dirigente direttamente coinvolto in interessi di altre società, tralasciando la parte di contestazione sui buoni pasto; ha ritenuto che i fatti esaminati, descritti nella lettera di contestazione, fossero provati nella loro oggettività e rivelassero un comportamento sleale, contrario al principio di fedeltà ed avessero gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario. Conseguentemente ha respinto il ricorso in Appello proposto contro la sentenza del Tribunale che gli aveva già dato torto.
Il dirigente ha proposto contro la sentenza ricorso per Cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, St. Lav., per avere la Corte di Appello escluso la riconducibilità dell’addebito alla previsione del c.c.n.l. applicato dalla società, che punisce con la sola sanzione conservativa la condotta di chi “esegua con negligenza grave il lavoro affidatogli; ometta parzialmente di eseguire il servizio assegnato; non avverta subito i superiori di eventuali irregolarità nell’adempimento del servizio” e per non avere considerato sproporzionato il licenziamento in ragione della mancata prova di una serie di condotte contestate.
La Cassazione ha respinto le critiche perché, a suo giudizio, “ la Corte d’Appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa e di proporzionalità della misura espulsiva ed ha motivatamente valutato la gravità dell’infrazione e la sua idoneità a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario; ha preso in esame la fattispecie disciplinare punita dal contratto collettivo con sanzione conservativa e incentrata sulla esecuzione “con negligenza grave del lavoro” e sulla mancata segnalazione ai superiori “di eventuali irregolarità nell’adempimento del servizio” ed ha motivatamente escluso la riconducibilità a tale previsione della condotta del D., concretatasi in plurimi atti gravemente sleali, in radicale conflitto di interessi con la società datoriale.” Cass. civ, sez. lav., ord., 16 marzo 2023, n. 7712.
La Cassazione ha così definitivamente respinto il ricorso del dirigente aggiungendo che “Parte ricorrente non sottopone a questa Corte errori di diritto imputabili ai giudici di merito nell’applicazione dei paradigmi normativi di giusta causa e di proporzionalità del licenziamento, ma pretende soltanto una diversa valutazione dei dati probatori raccolti al fine di ottenere un esito diverso della lite, così collocandosi al di fuori della cornice del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.”
In conseguenza del rigetto, il dirigente infedele è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali a favore dell’azienda con l’obbligo di versare all’erario il doppio importo per il contributo di iscrizione a ruolo della causa.
Biagio Cartillone