Il 16 gennaio pare conclusa la vicenda dell’aggiornamento salariale annuo delle retribuzioni del lavoro domestico con attuazione alla lettera di una norma che costituisce l’ultima scala mobile vigente nel sistema contrattuale italiano. Si tratta dell’Art. 38 del Contratto nazionale scaduto il 31 dicembre scorso che prevede un adeguamento dei salari “secondo le variazioni del costo della vita……. rilevate da ISTAT al 30 novembre di ogni anno”. Ciò sulla base del lavoro di una Commissione Nazionale prevista dall’Art. 45 “composta dai rappresentanti delle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori e dalle Associazioni dei datori di lavoro” convocata e presieduta dal Ministero del Lavoro il quale è delegato “dopo la terza convocazione, in caso di mancato accordo o in assenza delle parti”,……..” a determinare la variazione periodica della retribuzione minima……. in misura pari all’80% della variazione del costo della vita”. 100% per i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio.
In regime di bassa inflazione la norma ha funzionato senza problemi.
Stavolta le associazioni padronali hanno tentato di mitigare gli effetti con dilazione degli aumenti incontrando una rigidità dei sindacati che ora cantano vittoria.
Commento di Assindatcolf: “Calcolatrice alla mano già dalla busta paga di gennaio le famiglie dovranno mettere in budget un aumento del 9,2% sui minimi retributivi qualora non siano già assorbiti negli stipendi concordati. Gli impatti maggiori si potrebbero avere per quelle figure assunte con orari lunghi o in regime di convivenza, come nel caso delle badanti (livello Cs): la retribuzione minima passerà da 1.026,34 euro a 1.120,76 euro, oltre 94 euro in più al mese, a cui si aggiungerà anche l’aumento dei contributi, portando il costo totale annuo da 17.177 a 18.752 euro ovvero 1.575 euro in più”. Aggiungono: “Aumenti concreti, non mero allarmismo come più volte è stato sostenuto dai sindacati, con il rischio che molti lavoratori oggi in regola scompaiano nel ‘nero’”.
Effettivamente anche noi avevamo pensato ragionevole uno scaglionamento e un tentativo di chiedere parziali compensazioni al Governo (non l’assunzione delle badanti da parte del sistema pubblico come vaneggia qualcuno). Si poteva anche considerare una confluenza dello scatto nel rinnovo contrattuale che pure è all’ordine del giorno con una piattaforma che chiede pure la quattordicesima. Taluni hanno anche considerato che fosse l’occasione per risolvere una vecchia ingiustizia per la quale si tratta dell’unica categoria di lavoratori che in caso di malattia non ricevono nulla da Inps, mentre le scarse indennità economiche previste dal Contratto sono completamente a carico delle famiglie.
Si può osservare che anche moltissimi datori di lavoro sono iscritti a Cgil Cisl Uil soprattutto nei rispettivi sindacati dei pensionati i quali sembra non abbiano nulla da dire.
Taluni osservano come una funzione “pacificatrice” delle relazioni, ben al di là delle parole grosse che abbiamo letto e ascoltato in questi giorni, sia svolta da CASSA COLF. Si tratta della importante istituzione bilaterale vigente in categoria e per la quale nel rinnovo contrattuale dell’8 settembre 2020 si è provveduto a raddoppiare le quote a carico sia dei lavoratori che dei datori di lavoro e che concorrono a far funzionare una apprezzabile batteria di istituzioni, appunto, bilaterali.
L’ultimo rinnovo contrattuale ha promosso una novità crediamo unica nel panorama contrattuale italiano: la certificazione di qualità nel sistema Accredia “di cui alla norma tecnica UNI 11766:2019 in corso di validità” per la quale è dovuto una beneficio salariale di euro otto o dieci mensili. Non è dato sapere quali esiti siano portati da questa novità non tanto di erogazioni salariali, ma soprattutto di qualificazione delle persone specie per il lavoro tutt’altro che banale di badante.
E’ proprio necessaria una grande iniziativa per la regolarizzazione di questo mondo riproponendo una idea sulla quale molti dichiarano di concordare e cioè un forte sconto fiscale a chi tiene i rapporti in regola. Va incivilito il fenomeno immigrazione e per farne una realtà organizzata. Si deve favorire l’espansione di un sistema di imprese, soprattutto cooperative, che organizzano servizi qualificati alle famiglie liberandole dalle incombenze di ricercare personale e gestire rapporti di lavoro. C’è ragione di favorire e sostenere questo tipo di imprese che applicano il loro specifico Contratto di lavoro del 9.1.2020.
Una notazione per quanto riguarda le pensioni di queste soprattutto lavoratrici. Per le immigrate non comunitarie non c’è nessuna convenzione con i loro paesi di origine come invece si è fatto con gli emigranti italiani nel mondo. Ma anche per le italiane, con il sistema contributivo a regime e con l’attale livello dei contributi, non ci sarà nessuna pensione neppure ai 67 anni di Fornero e neppure con 40 anni di lavoro. E’ infatti scomparsa l’integrazione al minimo. In questa fase si parla di garantire una pensione anche ai giovani che subiscono anni di rapporti precari. Non sarà il caso di prendere in considerazione anche questa situazione?
Aldo Amoretti
Presidente Professione in Famiglia