Il nuovo sistema varato con l’accordo dell’Ecofin di ieri “implica – ha spiegato Saccomanni – che le crisi bancarie dell’Eurozona siano gestite in modo ordinato, evitando fenomeni di contagio, con ripercussioni in altre istituzioni bancarie” e il coinvolgimento della cosiddetta economia reale, ovvero di depositi, famiglie e imprese e “al tempo stesso limita il coinvolgimento dei contribuenti con le operazioni di salvataggio”. Interrompendo il circolo vizioso per cui le crisi bancarie alimentano le crisi del debito sovrano e viceversa, si eviterà che gli effetti dell’eventuale aumento degli “spread” sui titoli di Stato “passino dalle banche alle imprese e dalle imprese ai cittadini”.
In sostanza, l’accordo politico dell’Ecofin sul nuovo sistema unico consiste di tre elementi.
Innanzitutto, un regolamento comunitario che istituisce un’Autorità unica di risoluzione per le crisi bancarie, composto da due organismi decisionali: un Board esecutivo con un direttore e quattro membri permanenti e un organismo più largo (la “sessione plenaria”) in cui, oltre ai cinque membri permanenti del board, siederanno i rappresentanti di ogni autorità di risoluzione nazionale dei singoli paesi partecipanti (tutti quelli dell’Eurozona, più gli altri dell’Ue che lo chiederanno).
Se una banca rischia di fallire, il Board prepara uno “schema di risoluzione” e adotta decisioni sulla sua liquidazione o sul suo ridimensionamento che entrano in vigore entro 24 ore, a meno che non vi siano obiezioni da parte della Commissione europea, appoggiate dalla maggioranza semplice del Consiglio Ue.
In secondo luogo, una bozza di accordo intergovernativo, che sarà trasformato in trattato internazionale e ratificato da tutti i paesi partecipanti, per la creazione del Fondo unico di risoluzione, finanziato da prelievi sulle banche, che a regime disporrà di 55 miliardi di euro, ma che sarà “costruito” progressivamente in un periodo di transizione di 10 anni, attraverso la mutualizzazione graduale dei fondi di risoluzione (chiamati “compartimenti nazionali”) di ciascun paese partecipante.
Il terzo elemento dell’accordo è una “dichiarazione” sottoscritta dai ministri finanziari su una comune “rete di sicurezza”, o “paracadute finanziario” comune (“backstop”), che garantisca, anticipandola con “prestiti ponte” finanziati o garantiti con denaro pubblico, la liquidità necessaria alla risoluzione di eventuali crisi bancarie, nel caso in cui non siano sufficienti le risorse del Fondo unico di risoluzione, o dei suoi “compartimenti nazionali” nella fase di transizione. In quest’ultimo caso, i prestiti saranno restituiti, a termine, dallo stesso sistema bancario. Il “backstop” comune consisterà probabilmente nella creazione di un Fondo o un “veicolo finanziario”, sulla falsariga del Fondo salva-Stati già esistente (Esm). A meno che non si riesca a utilizzare a questo scopo lo stesso Esm, superando le reticenze tedesche, già ampiamente sperimentate nel tentativo, finora fallito, di usarlo per la ricapitalizzazione “diretta” delle banche.
La parte dell’accordo sul “backstop” pubblico, la più ambigua e meno precisamente definita, va letta insieme a una clausola dedicata all’esigenza costituzionale tedesca di non impegnare i soldi dei contribuenti senza l’autorizzazione del parlamento nazionale: “Per garantire la sovranità di bilancio degli Stati membri, la bozza di regolamento – si legge nella clausola – proibisce decisioni che richiederebbero a uno Stato membro di fornire un sostegno pubblico straordinario senza la sua previa approvazione secondo le procedure nazionali di bilancio”.
I tre elementi dell’accordo dovranno adesso essere elaborati sottoforma di testi formali: un regolamento legislativo (che dovrebbe arrivare a 200 pagine) con tutti i dettagli tecnici sul meccanismo, l’Autorità unica e il Fondo di risoluzione, che dovrà essere approvato anche dal Parlamento europeo; il nuovo trattato intergovernativo con le modalità di mutualizzazione dei fondi nazionali e di decisione per l’esborso del Fondo unico; e qualcosa, non si sa bene ancora che cosa, che dia forma alla dichiarazione sul “backstop” comune, importante soprattutto all’inizio della fase di transizione.
Secondo Saccomanni, il primo elemento dovrebbe essere pronto “entro la fine della legislatura attuale del Parlamento europeo”, nell’aprile 2014, e questo passaggio “spetta alla presidenza greca” di turno dell’Ue, che inizia a gennaio; poi, ha aggiunto, “ci vuole la bozza di trattato intergovernativo”. Secondo il ministro, la conduzione del processo per l’adozione formale dell’accordo “sarà già in fase molto avanzata quando toccherà a noi, con la presidenza italiana dell’Ue”, a partire dal luglio 2014.