Venerdì 26 marzo, cioè domani: è questa la data fissata per l’incontro che il nuovo Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, avrà con i sindacati dei metalmeccanici sull’infinita vertenza dell’ex Ilva. In un comunicato emesso ieri, Fim, Fiom e Uilm hanno giudicato “positiva” questa convocazione, ma anche “insufficiente”. Infatti, dopo il primo incontro che gli stessi sindacati hanno avuto con Giorgetti e col nuovo Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, il 19 febbraio scorso – a meno di una settimana dall’insediamento del Governo Draghi -, Fim, Fiom e Uilm si aspettavano adesso qualcosa di più. E cioè, ad esempio, un tavolo attorno a cui potessero incontrare anche i rappresentanti di ArcelorMittal, che attualmente gestisce la ex Ilva, e di Invitalia, che dovrebbe affiancare il colosso franco-indiano nella costruzione di un nuovo assetto proprietario e industriale del maggior gruppo siderurgico attivo in Italia.
Il pensiero corre a quel 10 dicembre dell’anno scorso, ovvero al giorno in cui il Governo italiano (allora il secondo Governo Conte) aveva appunto raggiunto con ArcelorMittal e Invitalia l’accordo che fissava le basi di una nuova Ilva. Ma da quel giorno, crisi di Governo a parte, attorno alla vicenda Ilva è successo di tutto e di più. Dall’intervento del Tar di Lecce, favorevole a una chiusura dello stabilimento di Taranto, a quello del Consiglio di Stato, che non ha ritenuto necessaria tale chiusura. Dalle pesanti richieste di condanna avanzate dal Pubblico Ministero nel processo denominato “Ambiente svenduto”, alla riapertura dei contenziosi fra ArcelorMittal e le aziende tarantini fornitrici. Dalla sparizione dalla scena Ilva di Invitalia, alle comunicazioni della stessa ArcelorMittal relative a nuovi massicci, quanto improvvisi, ricorsi alla Cassa integrazione; comunicazioni subito dopo altrettanto improvvisamente ritirate.
Adesso, forse in vista dell’incontro di domani, l’Ad di Invitalia, Domenico Arcuri, è tornato a farsi vivo con una lettera indirizzata ad ArcelorMittal. Lettera con cui Invitalia ribadisce di essere pronta a investire i 400 milioni necessari per l’aumento di capitale di AMInvestCo – la società costituita ad hoc da ArcelorMittal – previsto dal succitato accordo del 10 dicembre.
Di tutto questo parliamo con Gianni Venturi, il Segretario nazionale della Fiom-Cgil che ha l’incarico di responsabile per la siderurgia della stessa Fiom.
“Si tratta sicuramente di una vicenda che presenta degli aspetti surreali. Mi viene in mente una battuta fatta da Giulio Tremonti sulla crisi prima finanziaria e poi economica del 2008-2009. Tremonti, che era allora Ministro dell’Economia, disse che gli sembrava di trovarsi davanti a uno di quei giochi elettronici in cui all’inizio ti compare davanti un mostro alieno, lo abbatti, stai per rilassarti, ma ecco che ti compare davanti un altro terribile extra-terrestre, abbatti anche quello, ma non fai in tempo a gioire per la vittoria che ne arriva un terzo ancora più temibile dei primi due, e così via.”
“L’accordo fra Governo, Invitalia e ArcelorMittal del 10 dicembre scorso sembrava aver tracciato un percorso, certo non semplice, ma comunque, se mi si concede il bisticcio, percorribile. Ovviamente, tutti sapevano che, per poter procedere, era innanzitutto necessario che l’accordo stesso ricevesse il via libera dell’Autorità antitrust dell’Unione europea. Ma va anche detto che l’esame dell’Antitrust ha seguito la cosiddetta procedura semplificata e che, dunque, il via libera è giunto in tempi notevolmente rapidi, e cioè entro i primi giorni dello scorso mese di gennaio.”
E poi cosa è successo?
“A quel punto, come sindacati, eravamo pronti ad affrontare una nuova fase della vicenda Ilva, e cioè la fase in cui si potesse finalmente avviare, con i soggetti firmatari dell’accordo del 10 dicembre, un confronto su scelte strategiche, piano industriale e riconfigurazione impiantistica del sito di Taranto. Ciò anche sapendo che ciò che accade in questo stabilimento siderurgico ha ricadute immediate, da un lato, sugli altri siti dell’ex gruppo Ilva, da Genova a Novi Ligure e, dall’altro lato, su gran parte della nostra industria metalmeccanica. E ciò perché gli utilizzatori finale dell’acciaio sono alcuni dei principali comparti della nostra industria manifatturiera, dall’automotive agli elettrodomestici, dalla cantieristica navale all’aerospazio, dalle macchine utensili alla fabbricazione di binari e tubature.”
E allora perché questo confronto non è cominciato?
“Come si ricorderà, il 13 febbraio, ovvero lo stesso giorno in cui si è insediato il Governo guidato da Mario Draghi, da Lecce è arrivata una notizia clamorosa. Il Tar di Lecce aveva respinto il ricorso di ArcelorMittal avverso all’ordinanza con cui il Sindaco di Taranto, Melucci, aveva disposto lo spegnimento degli impianti in quanto fonti di emissioni nocive. Col 13 febbraio, la vicenda Ilva è dunque tornata nel gorgo della giustizia amministrativa.”
“Il paradosso è che ciò è accaduto proprio nel momento in cui la domanda di acciaio si stava facendo più pressante sia nella dimensione globale dei mercati, sia nelle nostre filiere nazionali. Filiere che, come quella dell’automotive, a partire dalla componentistica auto, sono sempre più connesse con i distretti industriali tedeschi. Distretti che, a loro volta, sono integrati, in particolare, con le produzioni e con i mercati cinesi.”
“D’altra parte, a questo forte aumento della domanda mondiale di acciaio ha corrisposto un calo dell’offerta. Calo che si è verificato in modo particolarmente evidente proprio in Italia. Mentre la sola Ilva di Taranto è tarata per produrre 8 milioni di tonnellate, nel 2020 la produzione è arrivata solo a 3 milioni e mezzo di tonnellate.”
Ciò vuol dire che si è tornati a parlare di chiusura dell’Ilva proprio quando la sua funzione industriale tornava a crescere di importanza?
“Infatti. Per capire il quadro in cui si inserisce attualmente la vicenda Ilva, bisogna tenere presente che rispetto all’acciaio si sta verificando lo stesso fenomeno che si sta delineando anche rispetto a varie materie prime o ad altri prodotti base: un aumento vertiginoso dei prezzi. Basti pensare che mentre nel settembre 2020 l’acciaio costava 400 euro a tonnellata, adesso costa intorno ai 900 euro a tonnellata. Insomma, in 6 mesi i prezzi sono più che raddoppiati.”
“D’altra parte, le importazioni di acciaio nel nostro Paese sono raddoppiate: da una quantità collocata fra 5 milioni e 5 milioni e mezzo di tonnellate, siamo passati a una quantità collocata fra 9 milioni e mezzo e 10 milioni di tonnellate.”
E adesso? Cosa direte al nuovo Governo?
“Come Fiom siamo convinti che, proprio in ragione di questo quadro, è necessario che venga perfezionato molto rapidamente l’assetto societario della nuova grande impresa che dovrebbe nascere con l’ingresso di Invitalia nella proprietà della ex-Ilva, al fianco di ArcelorMittal.”
“Allo stesso modo, siamo convinti che sia necessario avviare il confronto su un piano che abbia l’obiettivo di confermare la produzione dell’acciaio come asset strategico della nostra industria manifatturiera.”
“A tale scopo, occorre accelerare il processo di transizione ambientale, puntando sulla progressiva decarbonizzazione della produzione di acciaio attraverso una riconfigurazione dell’assetto impiantistico dello stabilimento di Taranto; riconfigurazione che, in termini ambientali, permetta di realizzare il massimo che sarà consentito dall’innovazione tecnologica disponibile.”
E cioè?
“Si tratta di passare dal ciclo integrale, attualmente in funzione, al ciclo ibrido basato sulla presenza parallela di altoforni e di forni elettrici alimentati con il cosiddetto preridotto. Aggiungo che l’accordo del 10 dicembre prevedeva la realizzazione, sempre a Taranto, di un impianto apposito per la produzione del preridotto stesso. Un impianto che sia in grado di servire, oltre lo stabilimento ionico, anche parte della siderurgia a forno elettrico che, nel nostro Paese, è presente in modo particolarmente significativo nel Nord Est.”
Domanda obbligata: che cos’è il preridotto?
“Il preridotto è un semilavorato siderurgico contenente prevalentemente ferro metallico e ossidi di ferro, ottenuto attraverso l’utilizzo di massicce quantità di gas naturale. Non a caso, oggi viene prodotto prevalentemente in Paesi ricchi di gas naturale, come Algeria e Iran. Il preridotto può essere utilizzato sia nell’altoforno, in sostituzione del minerale di ferro e del carbone, che nel forno elettrico ad arco, in sostituzione del rottame.”
Quindi voi siete convinti della validità industriale del progetto che, dopo l’accordo del 10 dicembre, è rimasto al palo?
“Questo nuovo assetto è l’unico che può assicurare una transizione ambientalmente sostenibile. Stando alle attuali conoscenze e a ciò che viene reso possibile dalle attuali tecnologie, il ciclo ibrido consente di ridurre in misura significativa i vari fattori inquinanti connessi alla produzione dell’acciaio. Ciò in attesa di poter disporre pienamente dell’idrogeno da energie rinnovabili o di altre tecniche in sperimentazione, come la cattura e lo stoccaggio di CO2.”
“Inoltre, questo nuovo assetto è compatibile con livelli occupazionali socialmente sostenibili, confermando gli attuali addetti, compresi i lavoratori dipendenti dall’Ilva in Amministrazione Straordinaria.”
Bene. Ma se si volesse veramente passare dalle parole ai fatti, quanto tempo ci vorrebbe per avere a Taranto uno stabilimento basato su questo ciclo ibrido?
È ragionevole pensare che 36/40 mesi siano sufficienti per realizzare il nuovo assetto impiantistico e industriale. D’altra parte, esistono già manifestazioni di interesse di gruppi di imprese (Snam-Danieli-Leonardo) che sono in grado di fornire soluzioni chiavi in mano con tecnologie sperimentate e consolidate.”
È evidente che occorre superare l’attuale stallo ed evitare che le prospettive del sito di Taranto e di tutto il gruppo ArcelorMittal presente in Italia tornino su un piano inclinato, con un rischio crescente di perdita definitiva di un asset strategico decisivo per la nostra industria manifatturiera.”
@Fernando_Liuzzi