Ancora una volta, niente di fatto per Acciaierie d’Italia. E quindi sciopero. In estrema sintesi, può essere così riassunta l’ennesima puntata della never ending story della ex Ilva. Una puntata andata in scena a Palazzo Chigi dove il Governo si era infine deciso a convocare i sindacati dei metalmeccanici per le 10 e mezzo del mattino di ieri, giovedì 9 novembre.
Come si ricorderà, il 20 ottobre scorso si era già svolto uno sciopero di 8 ore in tutti gli stabilimenti di Acciaierie d’Italia. Un’iniziativa di lotta proclamata dai sindacati della maggiore categoria dell’industria proprio per ottenere un incontro col Governo a Palazzo Chigi, ovvero in una sede che trascendesse i confini dei Ministeri delle Imprese e del Lavoro, coinvolgendo l’intero Governo a partire dal suo vertice.
Ebbene, quella mattina, mentre la manifestazione nazionale organizzata a Roma da Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil stava per cominciare, era arrivata, in extremis, una convocazione degli stessi sindacati proprio a Palazzo Chigi.
Mentre il corteo sindacale si accingeva a lasciare piazzale dell’Esquilino per dirigersi verso piazza Santi Apostoli, i Segretari generali delle tre federazioni di categoria, ovvero Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, avevano quindi lasciato la manifestazione per andare all’incontro. Incontro da cui erano tornati a fine mattinata a piazza Santi Apostoli per riferire ai manifestanti sull’esito del colloquio.
Fin lì, un mezzo successo. I Segretari generali dei tre sindacati avevano infatti potuto informare gli scioperanti, presenti in quella piazza, che il Governo si era impegnato a incardinare la trattativa sulla ex Ilva a palazzo Chigi, così come richiesto dai sindacati. E che si era anche impegnato a effettuare almeno la prima convocazione di tale trattativa entro il 7 novembre. Inoltre, aveva inteso rassicurare i sindacati affermando che non aveva nessuna intenzione di porre Acciaierie d’Italia sotto Amministrazione straordinaria, e che respingeva qualsiasi ipotesi di liquidazione della stessa Azienda.
Purtroppo, però, la convocazione di cui sopra non è mai arrivata. I sindacati avevano quindi annunciato che il 9 novembre una loro delegazione si sarebbe comunque autoconvocata davanti a palazzo Chigi, in attesa di essere ricevuta. Ed ecco che, secondo il singolare stile adottato dal Governo Meloni, il 6 novembre è arrivata un’altra convocazione in extremis, quella di cui abbiamo parlato nelle prime righe di questo articolo.
Questa volta, dunque, la convocazione c’era, anche se tardiva, e c’era la sede richiesta dai sindacati. Purtroppo, però, non c’era molto di più. Quando diciamo questo, non ci riferiamo, sia chiaro, al livello della delegazione governativa, costituita dai Capi di Gabinetto della Presidenza del Consiglio, nonché dei Ministeri delle Imprese, del Lavoro e degli Affari Europei.
Il punto è che l’incontro “ottenuto – ricordano i sindacati nel loro comunicato di ieri pomeriggio – grazie alla mobilitazione dello scorso 20 ottobre, non è servito a ottenere chiarezza sulla trattativa tra Governo e Mittal”, né “a rispondere sulle garanzie occupazionali, produttive e di salute e sicurezza”. Infatti, è scritto ancora nel comunicato, il Governo si è limitato a dire di “voler attendere la data del 23 novembre – giornata dell’assemblea dei soci di AdI – senza stabilire con i sindacati le condizioni necessarie alla realizzazione di un piano industriale, occupazionale e ambientale sostenuto da risorse pubbliche e private”. Inoltre, proseguono i sindacati, il Governo “non ha chiarito lo stato della trattativa <<segreta>> con ArcelorMittal, aumentando i dubbi da noi espressi”.
In conseguenza di tutto ciò, Fim, Fiom e Uilm hanno dichiarato di ritenere “inaccettabile il modo in cui si sta conducendo questo confronto”, e ciò, in particolare, considerando “le condizioni drammatiche degli impianti” e quelle “di incertezza dei lavoratori, sia diretti che dell’indotto”, nonché le condizioni di incertezza “dei lavoratori di Ilva in Amministrazione Straordinaria, a cui lo stesso Governo deve fornire una risposta chiara”.
Per i sindacati, dunque, “il Governo non può essere ostaggio di ArcelorMittal”. Al contrario, deve avere “un ruolo centrale nella trattativa per tutelare l’interesse del nostro Paese e rendere trasparente il confronto”, a partire dalla questione del “memorandum tra il Ministro Fitto e ArcelorMittal.”
Conclusione del comunicato: “In continuità con la mobilitazione unitaria del 20 ottobre”, le Segreterie nazionali di Fim, Fiom, Uilm “proclamano 8 ore di sciopero nell’intero Gruppo ex Ilva (Acciaierie d’Italia, Ilva in Amministrazione Straordinaria, Appalti e indotto) con articolazioni stabilite territorialmente”. Articolazioni che, comunque, dovranno tradursi in effettive astensioni dal lavoro entro il 23 novembre.
Prevedibilmente diverso il comunicato emesso dal Governo successivamente a quello sindacale. Diverso ma non convincente. Secondo quanto riportato da fonti di agenzia, il Governo, nella sua nota, ha infatti dichiarato di aver “ribadito” ai sindacati “gli impegni assunti”. Impegni che “prevedono l’assoluta esclusione di ipotesi di chiusura o liquidazione dello stabilimento” di Taranto, nonché l’esclusione “della sospensione” della sua “attività”. Il Governo, inoltre, ha affermato di aver “garantito che l’obiettivo resta quello del raggiungimento nel tempo di determinati livelli di produzione”.
Perché ci siamo permessi di definire non convincente il comunicato governativo? Per diversi motivi. Il primo dei quali sta nella constatazione del fatto che ieri il Governo è sostanzialmente rimasto a quanto aveva già detto ai sindacati nell’incontro del 20 ottobre, senza fare nessun passo avanti. In secondo luogo, per la genericità dell’obiettivo dichiarato, quello di puntare a raggiungere “nel tempo (..) determinati livelli di produzione”. In terzo luogo, per l’ennesimo rinvio comunicato ieri ai sindacati: “Ogni necessario approfondimento sui temi di carattere industriale è stato rimandato a dopo il 23 novembre”, ovvero a dopo il giorno in cui “è stata convocata l’Assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia”.
Un po’ poco, solo che si pensi al fatto che i sindacati hanno espresso nel loro comunicato una dura critica nei confronti dei comportamenti del socio privato di Acciaierie d’Italia. E lo hanno fatto affermando che, fin qui, non si è visto “alcun impegno economico da parte di ArcelorMittal nella realizzazione degli investimenti”. I sindacati, insomma, si auguravano che il Governo dicesse qualcosa di più sulle sue intenzioni nei confronti del colosso siderurgico indiano-lussemburghese. Ma ciò non è accaduto.
Ieri, intanto, la Gazzetta del Mezzogiorno ha pubblicato un articolo di Giacomo Rizzo in cui si sosteneva che, nell’assemblea di AdI messa in calendario, come si è visto, per giovedì 23 novembre, “Franco Bernabè dovrebbe rassegnare le sue dimissioni da Presidente della holding, incarico assunto a luglio 2021”. Ovvero, aggiungiamo noi, quando il Presidente del Consiglio, già da qualche mese, era Mario Draghi.
Nello stesso articolo, Rizzo ha sottolineato che il 17 ottobre, mentre era audito dalla Commissione Attività produttive della Camera, Bernabè “ha dichiarato conclusa la sua esperienza, ricordando di aver fatto tutto il possibile affinché i due azionisti di AdI”, ovvero il socio privato, ArcelorMittal, detentore della maggioranza (62%), e il socio pubblico, Invitalia, collocato in una posizione di minoranza (38%), “trovassero la via del dialogo e dell’intesa sulla continuità e sul rilancio dell’Azienda”.
Ciò, evidentemente, non è ancora avvenuto, ma il trascorrere del tempo non è una variabile neutra. Più tempo ci vorrà a trovare una soluzione, peggiore sarà la situazione da cui si tenterà di ripartire. Il nuovo sciopero proclamato dai sindacati dei metalmeccanici si presenta quindi non solo come una protesta contro le tattiche dilatorie di ArcelorMittal, ma, ancor più, come un appello lanciato al Governo affinché faccia sentire al più presto la propria voce.
@Fernando_Liuzzi