Se lo stato di salute del lavoro misura la temperatura di un Paese, è certo che l’Italia non stia poi tanto bene. Eppure dopo il tracollo dell’occupazione contestuale alla pandemia, a dicembre 2023 si registra un aumento degli occupati che raggiunge quota 23 milioni 754mila, il tasso di disoccupazione totale scende al 7,2%, ai minimi da sedici anni, e i contratti a termine mostrano segno negativo, rilevando quindi una sostanziale stabilizzazione del mercato. Numeri bandiera della maggioranza di governo, che si intestano risultati da record come cartina di tornasole del cambio di passo tanto a lungo ventilato. Tuttavia i numeri richiedono perizia nella lettura e diradando la cortina fumogena delle belle speranze si scorgono chiaramente tutte le fragilità di un Paese disincantato, che invecchia e non cresce, diviso nella sua unità formale: gli occupabili tra i 15 e i 34 anni sono diminuiti di 360 mila unità, sintomo dell’ormai proverbiale inverno demografico, con il gap tra nord e sud che si inasprisce in maniera sempre più preoccupante; ad aumentare sono invece gli occupati over 50, indisponibili ad accettare termini contrattuali incerti. A ciò si somma il dato sulla povertà: il Rapporto 2023 della Caritas su Povertà ed esclusione sociale rileva oltre 5 milioni 674 mila poveri assoluti (+357mila rispetto al 2021), pari al 9,7% della popolazione: un residente su dieci oggi non ha accesso a un livello di vita dignitoso (quindici anni fa il fenomeno riguardava appena il 3% dei residenti). A seguito della crisi del 2008, di quella del debito sovrano, della pandemia fino ad arrivare allo scoppio del conflitto in Ucraina, la povertà è diventata un fenomeno strutturale. E in questo quadro il lavoro non è più assicurazione di benessere: il 47% dei nuclei in povertà assoluta risulta avere il capofamiglia occupato (i working poors, poveri nonostante il lavoro). Questi eventi, però, sono solo l’apice di un lungo percorso di depauperazione e svilimento dei dettami costituzionali, che proprio sul lavoro fondano la nostra Repubblica democratica: da un lato il dovere di lavorare, dall’altro il diritto alla sicurezza sociale. Laddove quello al lavoro è un diritto sociale, è altresì la principale attività con cui assolvere ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art.2), e concorrere così al “progresso materiale e spirituale della società” (art.4); soprattutto, il lavoro è l’attività che consente come contropartita di accedere alle cure (art.32) e all’istruzione, e più in generale di vedersi riconosciuto il diritto al welfare. Ma se questi sono questi i cardini del patto di cittadinanza cui rinvia la Costituzione, è evidente che ad oggi di quei dettami costituzionali si è fatto carta straccia. A un quadro così delineato, dinanzi al tradimento degli sforzi dei padri costituenti, si dovrebbe rispondere senza indugi. E subito.
Abolire il lavoro povero. Per la buona e piena occupazione, diventa un imperativo massimalista portatore di un obiettivo perentorio ed è anche il titolo del nuovo saggio di Alessandro Somma (Edizioni Laterza), professore di Diritto comparato all’Università La Sapienza di Roma e membro dell’Académie internationale de droit comparé. Fugando ogni ambiguità, Somma chiarisce sin da subito da quale sentimento scaturisce la sua impegnata (e impegnativa) trattazione: «[…] un moto di indignazione, montato in questi mesi, se non anni, per un martellante dibattito politico espressivo di un sentimento che non saprei definire altrimenti se non come odio verso i poveri». Una postura dichiaratamente radicale che sembra essere l’unica reazione possibile a uno stato delle cose non più tollerabile, dove i diritti costituzionali di ogni cittadino sono vilipesi da uno Stato prono a logiche neoliberiste dove il lavoro è declassato a mero rapporto di mercato, il conflitto sociale conseguentemente sterilizzato e i poteri governativi vigilmente atti ad assicurare il funzionamento della concorrenza alla base del funzionamento del capitalismo sulla base di un vincolo esterno di condizionalità. piuttosto che a difendere la società dal funzionamento del mercato. Per Somma, quindi, è venuto meno il compromesso tra democrazia e capitalismo, la rottura di quell’equilibrio sacro che negli anni Settanta, quasi al termine dei Trenta gloriosi, rifrangeva speranze con l’ingresso della Costituzione nelle fabbriche attraverso lo Statuto dei lavoratori. Con gli anni Ottanta si avvia «il lento ma inesorabile prevalere di un punto di vista neoliberale nella disciplina dell’ordine economico» che «ha portato alla flessibilizzazione e precarizzazione della relazione di lavoro: alla sua progressiva identificazione con una relazione di mercato qualsiasi. Il tutto per attrezzare le imprese a competere in un mondo retto dalla libera circolazione dei capitali». Il lavoro, oggi, è legalmente povero, pagato male, deprivato della sua funzione emancipatrice e privo della fondamentale contropartita di diritti per cui il cittadino accetta la subordinazione. Attacchi frontali e sfacciati, mascherati dall’ipocrisia e da retoriche di facciata che ci raccontano che il lavoro è finito. «Attacchi al lavoro per cui occorre indignarsi e opporsi».
Le pagine di Alessandro Somma – costruite attraverso una dettagliatissima analisi diacronica degli eventi e un ricco compendio di rimandi alla letteratura specialistica – intendono dunque contribuire allo sviluppo di un pensiero radicale in materia di lavoro, «ovvero di un pensiero che muove dall’indignazione per la sua attuale mortificazione e mercificazione e dalla ricostruzione di come esso era stato invece concepito dai costituenti: l’espressione più autentica della cittadinanza». I lavoratori, rimarca con forza, non sono soggetti deboli da trattare partenalisticamente, bensì cittadini cui restituire dignità, rifiutando la retorica sulla fine del lavoro, o peggio il lavoro povero, e imponendo un «nuovo patto di cittadinanza fondato sul dovere di operare socialmente, e sul recupero come contropartita di un sistema della sicurezza sociale saldamente in mano pubblica, della piena e buona occupazione rispettosa dei vincoli ambientali, e di una effettiva partecipazione dei lavoratori alla vita democratica».
Di particolare interesse, poi, è la prospettiva attraverso la quale sono analizzate la genesi e le sorti del reddito minimo di cittadinanza, la parabola di quel che fu il reddito di cittadinanza promosso dal Governo Conte I e smantellato poi dal Governo Meloni (proprio nel giorno della Festa del Lavoro). Somma si concentra sulla «criminalizzazione della povertà» e la «moralizzazione del discorso sui poveri» come conseguenza della riforma del reddito di cittadinanza, che non ha fatto altro che produrre uno «spostamento dell’attenzione sulle caratteristiche dei poveri piuttosto che sui meccanismi che generano la povertà». Per l’autore, «se le concezioni della povertà di legano a doppio filo alle strategie di legittimazione delle misure di contrasto alla povertà, e più in generale dei sistemi di welfare, è anche per la loro connessione con il complessivo approccio alla disciplina dell’ordine economico». Nei termini dell’antropologia neoliberale «”non c’è nulla che favorisca la pigrizia e l’irresponsabilità quanto la previdenza sociale”. Il welfare deve pertanto essere ridotto ai minimi termini, in modo tale che l’indigenza contribuisca a includere forzatamente i disoccupati nel mercato del lavoro. Alimentando nel contempo l’idea che la povertà dipenda fondamentalmente dalla disoccupazione, per occultare così il fenomeno del lavoro povero, oltre a quello del lavoro flessibile e precario».
In questo meccanismo il grande assente è lo Stato, che deve «cessare di operare come presidio del corretto funzionamento del mercato e affermarsi come difensore della società dal mercato. Soprattutto deve tornare a operare come garante di un conflitto sociale equilibrato anche a soprattutto nel mercato, ovvero come catalizzatore di democrazia economica». Ma soprattutto, Somma invoca il ritorno della politica, che «deve poi tornare a governare i mutamenti che caratterizzano il lavoro: deve smetterla di riprodurre il mantra della sua fine per avallare la sua precarizzazione, e prendere parte attiva all’eterna competizione tra sviluppo tecnologico e inventiva, per ricordarsi che storicamente questa competizione è stata vinta dalla seconda. Certo, il protagonismo di coloro i quali hanno imposto e presidiato il patto di cittadinanza incentrato sul lavoro è ora fortemente compromesso: i lavoratori sono sfiancati dalla precarietà e dalla povertà, isolati e ostacolati nella loro capacità di esprimere una mobilitazione con cui “invertire la marea di un neoliberalismo truce”. Ma è proprio questo il punto: la fine di quel protagonismo è alla base della cosiddetta fine del lavoro e questo è un fatto politico».
Radicalità e distanza dal fatalismo: sono queste le chiavi di volta per comprendere la posizione di Alessandro Somma, votato all’intransigenza nell’identificare le storture del sistema e tracciare la strada del ritorno alle buone pratiche costituzionali che valorizzano l’individuo attraverso il lavoro. Quella di Abolire il lavoro povero. Per la buona e piena occupazione è una lettura di complesso approccio, che richiede innanzitutto la familiarizzazione con una postura sostanzialmente disallineata dalle tradizionali linee di pensiero critico, innervata dalla saggezza accademica e contemporaneamente attraversata da un inusuale vigore per la letteratura specialistica che riaccende qualcosa di sopito: la coscienza. Se a tratti sembra che a retorica si risponda con retorica, il contributo di Somma risulta di preziosa rilevanza in questa congiuntura storica caratterizzata da revanscismi e fiammate di cieco populismo cui vi si aderisce più per pigrizia che per volontà. In questo senso, è contraddittorio e paradossale constatare il lungo coma in cui versa lo spirito di contestazione dei cittadini dinanzi all’impoverimento legalizzato, e lo è altresì dal momento in cui tutti i meccanismi che hanno provato ad occultare questo delittuoso fenomeno sono stati portati alla luce. Ma quando “ragione e sentimento” riescono a trovare il punto di incontro, qualcosa di buono può ancora accadere.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Abolire il lavoro povero. Per la buona e piena occupazione.
Autore: Alessandro Somma
Editore: Laterza – Collana Anticorpi
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 196 pp.
ISBN: 978-88-581-5350-5
Prezzo: 18,00€