La prossima sessione di studi della Scuola superiore di relazioni industriali del Diario del Lavoro, che si terrà dal 17 al 19 aprile, sarà dedicata alla contrattazione. Regole, contenuti, tattiche e strategie della contrattazione, tutto ciò che potrà servire a chi si troverà nel suo futuro più o meno prossimo a un tavolo di trattative. Ci saranno, come docenti, uomini delle relazioni industriali, delle aziende e del sindacato, e alcuni professori universitari, si farà anche una simulazione di trattativa, insomma si cercherà di approfondire ogni aspetto del mondo della contrattazione.
È il momento giusto per questa analisi, perché si sta per aprire la stagione dei rinnovi: tutti i grandi contratti dell’industria sono scaduti o in scadenza, in molti casi il negoziato sta per partire, in qualche altro caso le parti si sono già incontrate per verificare il terreno nel quale si daranno battaglia. Una stagione contrattuale che si apre senza grandi apprensioni, forse, ma con qualche titubanza. Queste ultime dettate dal fatto che le regole della contrattazione appaiono un po’ vetuste. Il Patto della fabbrica, che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil firmarono nel 2018, non ha molti anni sulle spalle ma da tempo ormai sembra incapace di guidare l’azione delle due parti in negoziati complessi.
Questo anche perché negli ultimi tre o quattro anni è accaduto di tutto, la pandemia, le due guerre, il ritorno dell’inflazione, i cambiamenti, notevoli, del quadro economico. Soprattutto, è cambiato il lavoro e l’attitudine al lavoro delle persone, per cui nuove regole sarebbero state più che opportune. Anche perché quell’accordo, indubbiamente di grande levatura, anche capace di guardare al di là del momento per cercare di individuare lo svolgimento futuro dei rapporti lavoristici nel nostro paese, conteneva delle indicazioni che non sono state applicate. Una revisione sarebbe stata opportuna, ma non è arrivata.
Non sappiamo se nei programmi di Emanuele Orsini, il prossimo presidente di Confindustria, c’è anche la messa punto di un nuovo grande accordo tra le parti sociali e magari anche con il governo. Carlo Bonomi, il presidente uscente, ci aveva provato, ma non con la determinazione necessaria e tutto era finito nel nulla. Negli ultimissimi mesi una sorta di dialogo tra Confindustria e le tre confederazioni sindacali sembrava poter ripartire, ma non c’erano i tempi tecnici per arrivare a un accordo e tutto è finito, ancora una volta, ancor prima di iniziare. Adesso la partita è nelle mani del nuovo presidente, ma in ogni caso le eventuali nuove regole arriverebbero in ritardo: la stagione contrattuale non può attendere, tanto più perché i tempi di un accordo del genere sarebbero certamente molto lunghi.
Il pericolo, in assenza di queste nuove regole, è che le categorie si muovano in totale autonomia, senza i collegamenti necessari tra di loro e che questo aumenti il processo di polarizzazione già in atto. Un pericolo reale, perché le federazioni, sia sindacali che imprenditoriali, sanno bene come muoversi e hanno dimostrato in altre occasioni di essere in grado di firmare nuovi contratti senza grandi problemi, lasciandosi guidare dagli interessi propri di ciascun settore. Il punto è che questi interessi sono differenti tra loro e possono condurre a soluzioni diverse tra loro, non omogenee. Accade già oggi, in presenza di regole abbastanza precise, proprio perché si guarda comunque ai propri obiettivi, e tanto più accadrebbe in assenza di indicazioni generali.
Il secondo pericolo è che si divarichino le condotte, e le strategie, delle aziende più forti rispetto a quelle delle aziende meno forti. Nel corso di una trattativa, in assenza di una guida sicura, può accadere, e accade, che alcune aziende, più forti e in grado di reggere il peso di un accordo pur oneroso che si palesa tra le parti, decidano di muoversi in autonomia. Come ha fatto Intesa San Paolo, che ha preferito uscire da Abi non trovandosi più in sintonia sulla strategia sindacale. O anche come, più recentemente, è occorso alla Lindt, impresa di grande distribuzione, che non sopportando le resistenze che la propria associazione, la Federdistribuzione, stava opponendo a un accordo per il rinnovo del contratto nazionale della categoria, ha dichiarato di voler applicare il contratto di Confcommercio, rompendo in tal modo il vincolo associativo.
Il rischio in questi casi è la corporativizzazione, lo scadere degli ideali associativi. Un’impresa che mal sopporta le titubanze della propria categoria e vorrebbe muoversi in autonomia e alla fine lo fa, rinuncia alla forza che le deriva dall’essere in associazione con le altre aziende del suo settore. Lo stesso ragionamento vale per il sindacato, tanto più forte quanto unito è il fronte al quale appartiene. Uniti si vince, divisi si è più deboli, è una verità che non può essere messa in discussione.
Per sventare questi pericoli la contrattazione deve fare ricorso alle caratteristiche migliori delle parti sociali. Che devono dimostrare di avere coraggio, fantasia, determinazione. Non è una prova impossibile, in passato sia il sindacato che le associazioni imprenditoriali hanno mostrato di sapersi muovere con grande capacità, in nome degli interessi delle imprese e dei lavoratori. È difficile che non ci riescano anche stavolta. Ed è proprio per la consapevolezza di questa capacità che gli attori delle relazioni industriali in questa congiuntura, alla vigilia di una grande stagione contrattuale, non mostrano apprensione.
Massimo Mascini