Ricordate l’antico sillogismo della filosofia greca che abbiamo studiato al liceo? Premessa maior: tutti gli uomini sono mortali; premessa minor: Socrate è un uomo; sintesi: Socrate è mortale. Rallegriamoci: oggi possiamo disporre del sillogismo di Maurizio Landini: i lavoratori si sentono più rappresentati dai partiti di destra che da quelli di sinistra; la Cgil sta con i lavoratori; pertanto è pronta a dialogare anche con un governo di destra, perché “negli ultimi anni – ha detto il segretario a Bologna – il mondo del lavoro, le lavoratrici e i lavoratori, i precari, i giovani non sono stati ascoltati. E addirittura le politiche fatte, in molti casi sia da governi di destra sia da governi che si richiamavano alla sinistra, hanno peggiorato la condizione di vita e di lavoro delle persone”. Ovviamente rientra nei canoni ordinari che un sindacato si confronti con il governo in carica. Ma Landini non si accontenta di recitare la solita formula (il sindacato è autonomo dai padroni, dai partiti e dai governi); ci tiene a sottolineare una sorta di indifferenza – colta così da tutti gli osservatori – per la natura politica dei propri interlocutori, che, alla luce della posta in gioco nelle prossime elezioni, balza in evidenza come un sostanziale cambiamento di linea (contro Silvio Berlusconi la Cgil condusse, anche da sola, una guerra implacabile) che viene accolto da un osservatore attento come Giorgio Meletti che su “il Domani” pubblica un articolo sotto il titolo “Landini asseconda la deriva della Cgil che vota a destra”. Per lo zar della Cgil, al di là del voto depositato nelle urne il 25 settembre, contano la condizione socio-economica dei lavoratori e le risposte che i governi, scelti dagli elettori, daranno alle richieste dei sindacati e in particolare della Confederazione di Corso Italia. In questo ragionamento ci sono molte cose che non tornano. Per il sindacato e per la politica. Qualunque partito, qualunque coalizione possono essere indotti ad attuare delle politiche convenienti per il mondo del lavoro. Se così fosse in che cosa si distinguerebbero le forze politiche, dopo la morte delle ideologie? Certo la nuova destra, in Italia e in Europa, non rappresenta più gli interessi dei “padrini del vapore”, non si preoccupa dei bilanci in pareggio, della competitività dell’apparato produttivo. Il suo è un approccio populista che non si spaventa a promettere di più, ad usare la spesa pubblica al solo scopo di ottenere consenso, di mandare nel medio periodo in malora il Paese al solo scopo di vincere le elezioni. Come può un grande sindacato (che una volta si definiva “di classe”) ritenere che la linea di condotta della destra populista (e quindi necessariamente sovranista perché le politiche sbagliate si possono fare, in un mondo interconnesso, solo chiudendosi nei propri confini) sia portata avanti nell’interesse delle classi lavoratrici e del Paese? Ricordo che nelle riunioni nelle riunioni Luciano Lama ascoltava tutti gli interventi in silenzio. Ma se a qualcuno sfuggiva un “i lavoratori dicono……”, Lama lo interrompeva così: “So cosa dicono i lavoratori. A me interessa conoscere ciò che tu dici a loro”. Lama diceva anche che non contano la forza e le dimensioni di un sindacato. Possono coesistere organizzazioni minoritarie di chiara cultura riformista insieme a grandi sindacati sostanzialmente corporativi. E quest’ultima la prospettiva in cui si sta incamminando la Cgil al seguito della dottrina Landini. I programmi dei grandi soggetti collettivi sono bandiere piantate nella testa della gente. E le bandiere non sono tutte uguali. C’è un solo modo per tenere insieme persone con orientamento culturale diverso: quello di sommare interessi diversi accogliendo tutte le istanze. Una volta a Vittorio Foa chiesero in una intervista che cosa per lui significasse essere di sinistra. Foa ci pensò un attimo poi disse: “Pensare agli altri e al futuro”. Poi si affrettò ad aggiungere: “Anzi pensare agli altri nel futuro”. Se vogliamo fermarci a tempi più recenti consiglio a Landini la rilettura della relazione che il suo ex collega Marco Bentivogli svolse al congresso della Fim-Cisl nel 2017: “Ma confondere il consenso con la schiuma gastrica della rabbia è storicamente stato utile ad allontanare le persone dalla partecipazione e dal potere. E poi, “il popolo” come soggetto unico non esiste, è una costruzione politica tirata in ballo proprio per negare protagonismo e consapevolezza alle persone e parlare a nome loro, imbrogliandole. Ridurre la complessità ad un’espressione binaria (Sì-No) su temi spesso complessi quanto ignoti è la negazione della democrazia’’. Poi aggiunse: “In sostanza, come sempre, ognuno voti come vuole, ma sui valori di fondo, sull’impegno civile non possiamo restare né neutrali né muti. Il sindacato è una delle più belle forme di solidarietà collettiva, non lo era e non sarà mai compatibile col razzismo e i totalitarismi di qualsiasi matrice. Infine Bentivogli invitava il sindacato ad assumersi le proprie responsabilità: “Cosa più grave, abbiamo lentamente ma inesorabilmente abdicato alla missione di educazione civile, valoriale e politica che pure rientra nel nostro dna. Inutile quindi meravigliarsi che il voto degli iscritti abbia preso negli anni strade così diverse”.
Giuliano Cazzola