«O Roma, nessuno, finché vive, potrà dimenticarti… Hai riunito popoli diversi in una sola patria, la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi. Offrendo ai vinti il retaggio della tua civiltà, di tutto il mondo diviso hai fatto un’unica città.» Così Claudio Rutilio Namaziano, nel poema De Reditu suo, scritto intorno al 415 d.C., rimpiangeva la grandezza di Roma, mentre ritornava in Gallia, la sua terra d’origine, attraversando i resti di un impero ormai indifeso davanti alle scorrerie e alle invasioni dei barbari.
Sono andato a ripescare questo personaggio dai miei studi liceali, quando ho letto l’articolo di Gaetano Sateriale ‘’Per L’unità della Cgil’’, dove ho ritrovato toni di un’apologia nostalgica nei confronti della Roma/Cgil: ‘’ Non siamo – sostiene Sateriale – un qualunque partito sconfitto alle elezioni che litiga al suo interno su chi ne abbia la colpa. Non siamo un movimento che mobilita la gente per ottenere un consenso a breve, indipendentemente dai risultati che può garantire. Non lo siamo mai stati: nemmeno quando in Cgil c’erano le componenti di partito e la sintesi era difficile. Nemmeno negli anni più duri delle repressioni antioperaie, del terrorismo, di tangentopoli, del trionfo del pensiero liberista, della recente crisi economica e sociale’’. Gaetano, nei confronti del quale nutro stima ed amicizia, partendo da questa rappresentazione (namanziana?) della Cgil, critica – sia nel metodo che nel merito – la candidatura, proposta da Susanna Camusso, di Maurizio Landini a succederle in occasione del prossimo Congresso. ‘’Mi lega a lei – scrive Sateriale – una lunga amicizia (oltre che la riconoscenza per avermi voluto coinvolgere nel lavoro della confederazione). È in nome di questa amicizia che mi permetto di dire che non sono d’accordo sulle decisioni e sulle proposte che ha reso pubbliche in questi giorni. E nemmeno sugli strumenti comunicativi usati per farlo. Così facendo, corre il rischio di essere ricordata come il segretario che al termine del suo mandato ha diviso la Cgil anziché unirla e questo, dopo tanto lavoro e tanto impegno da parte sua per la nostra organizzazione, mi dispiacerebbe molto’’.
Per la verità della cronaca Susanna Camusso non è la prima segretaria generale che, lasciando l’incarico, indica un dirigente che deve prendere il suo posto. Agostino Novella lo fece proponendo Luciano Lama, anziché Rinaldo Scheda che sicuramente godeva di maggior consenso all’interno del gruppo dirigente del sindacato. E Novella motivò questa scelta sulla base del carattere dei due dirigenti, considerando Lama più fermo e deciso nelle sue convinzioni, mentre, a suo giudizio, Scheda era troppo influenzato dagli eventi. Lama commise l’errore (con la parabola dei ‘’fratelli’’) di lasciare le consegne ad Antonio Pizzinato – ben presto risultato inadeguato a quel ruolo – sacrificando due dirigenti della statura di Sergio Garavini e Bruno Trentin. Sergio Cofferati, mentre era al picco del suo potere (in tanti anni nessun altro segretario generale è riuscito ad avere l’egemonia assoluta sull’organizzazione di cui ha goduto il Cinese), impose un re Tentenna come Guglielmo Epifani.
Come Sateriale ho avuto a che fare con i ‘’sandinisti’’ (prima seguaci, ora custodi della memoria di Claudio Sabattini). Anzi, credo di essere una delle poche persone ancora in vita che hanno conosciuto Claudio fin da ragazzo (eravamo nello stesso liceo) e che ne hanno seguito da vicino il cursus honorum (almeno fino al 1994 quando ho lasciato definitivamente la Cgil) con reciproco rispetto, anche se non ho mai capito quali fossero i suoi obiettivi politici. Conosco le sue generose battaglie condotte da Sateriale (peraltro insieme con Susanna Camusso) all’interno della Fiom. Considero anch’io un problema che il Congresso si svolga col difetto proprio delle primarie, rischiando di mettere in sordina i temi della politica. A proposito, ricordo che una volta Vittorio Foa mi disse che nella Cgil le svolte non si sono mai fatte in un Congresso, ma in precedenza, affidando al dibattito congressuale il compito di consolidarle. Con la candidatura e magari la elezione di Maurizio Landini, la Cgil confermerebbe questa regola, sia pure in negativo.
Diversamente da Gaetano credo che l’ex leader della Fiom sia il dirigente più rappresentativo di ciò che la confederazione oggi esprime. Non è un caso che più di un terzo degli iscritti, il 4 marzo, abbia votato il M5S e il 10% per la Lega. E che cosa d’altro avrebbero potuto fare quando sono state le politiche della Cgil a fornire il piombo per le pallottole dei pentastellati (ed un po’ anche della Lega)? “Le politiche del governo non hanno avuto il consenso del Paese che con il voto del 4 marzo ha indicato un cambiamento” – ha detto subito dopo il voto Maurizio Landini – “Non è un mistero che non abbiamo condiviso la Buona scuola, non abbiamo condiviso il Jobs Act, così come una serie di riforme sul piano istituzionale. È da tempo che diciamo che sia nei governi di destra sia di sinistra non c’è una politica industriale degna di questo nome’’.
Questa linea di condotta si è vista alla prova al momento del decreto dignità (del resto alcune sue parti erano state copiate dalla Carta dei diritti della Cgil, un documento che assegnerebbe ai lavoratori tanti diritti, ma porterebbe alla fuga o alla chiusura delle aziende); da ultimo sul tema delle pensioni e più in generale sulla cautela che viene da Corso d’Italia sulle politiche di questo governo che inneggiano a quanto ha sostenuto la Cgil negli ultimi anni (no ad un’austerità anche se non c’è stata, no al precariato, no al jobs act e a tutto quanto è stato fatto per modernizzare il diritto del lavoro, per rendere sostenibile il sistema pensionistico e per adeguare la struttura della contrattazione alle nuove esigenze produttive). Ha ragione Sateriale quando denuncia che la Cgil naviga ‘’in un mare sconosciuto senza aver concepito una bussola di riferimento generale per tutti. Ancora troppo debole l’argine solidale al razzismo sovranista, ancora flebile la denuncia dell’inganno che si cela dietro il reddito di cittadinanza rispetto a una seria politica dello sviluppo e dell’occupazione dei giovani e delle donne. Per non dire delle ambigue strizzate d’occhio a questo o quel ministro’’.
Gli fa da eco un giovane dirigente della Fillea, Alessandro Genovesi, quando afferma, sul Diario del lavoro: ‘’Di fronte ad una visione di società espressa dal Governo dei nuovi sofisti (teorici per cui solo le apprensioni dei sensi e l’impressione soggettiva determinano il vero in quanto utile) quanto possiamo cavarcela con la logica del “giudicheremo provvedimento per provvedimento”, negando a noi stessi la natura reazionaria (che può anche avere consenso popolare) di questa cultura politica fatta alimentando rabbia, paure, sistematicamente impegnata a scavalcare corpi intermedi e a semplificare i processi democratici e i contrappesi istituzionali… tutta vocata a parlare alla pancia del Paese e non alla sua testa, alle sue energie migliori?’’. E prosegue ancora Genovesi: ‘’ E la crisi e le difficoltà della rappresentanza politica democratica e progressista, che tanto ci riguarda con buona pace di chi teorizza una sorta di indipendenza dal quadro politico, non può – comunque la si metta – essere l’alibi per non esercitare la nostra funzione pedagogica e di azione che è, si autonoma nel programma e negli interessi, ma non neutrale per quanto riguarda valori, codici, alleanze’’.
Ma dove è una Cgil disponibile ad una svolta in direzione opposta rispetto a quella che si sta preparando, in tragica coerenza con le politiche portate avanti negli ultimi anni ? In altri tempi, di fronte alla vergogna della nave Diciotti, la confederazione avrebbe proclamato lo sciopero generale in tutti i porti d’Italia. E i portuali lo avrebbero svolto compatti. Certo, sarebbe troppo facile ed ingeneroso attribuire la responsabilità dell’inerzia, di fronte all’arroganza indecorosa del ministro di Polizia, ai sindacati e alla stessa Cgil: non è colpa loro se i lavoratori hanno cambiato testa. Non c’è nulla di cui scusarsi con quei settori di classe lavoratrice che sono approdati, non solo in Italia, su posizioni di conservazione, di disperato attaccamento ad un passato che non ha alcun futuro. Anche la responsabilità delle scelte politiche è, in fondo, di carattere personale.
In questi giorni ho avuto l’opportunità e il piacere di leggere, condividendola, la relazione del presidente Carlo Bonomi, all’Assemblea dell’Assolombarda. Tra le tante affermazioni coraggiose Bonomi ha denunciato che ‘’È avvenuta nel volgere di pochi mesi una trasformazione profonda del senso di sé e della volontà reattiva degli italiani. È un fenomeno che non trova riscontro nell’alternanza tra destra e sinistra al governo durante la Seconda Repubblica. Assume forme di ripulsa verso la stessa idea di democrazia rappresentativa, verso i fondamenti garantisti della giustizia e della presunzione d’innocenza’’. In sostanza, la maggioranza giallo-verde non va combattuta, caro Landini, a seconda di quello che fa, ma per quello che è, per i disvalori che esprime. Perché la democrazia e le sue istituzioni sono più importanti rispetto a quanti mesi deve durare un contratto a termine privo di causale. Queste parole così nette ha dovuto dirle, però, un imprenditore. Avrei preferito ascoltarle da Susanna Camusso. Mi auguro – ma ne dubito – di ritrovarle nel discorso programmatico di Maurizio Landini, dopo la sua elezione alla guida della ‘’Grande Madre’’di noi tutti.