Fa discutere la presentazione, da parte del Senatore Maurizio Sacconi, di due emendamenti alla Legge di stabilità 2018, rivolti ad introdurre: l’obbligo per i soggetti collettivi che proclamano lo sciopero, di comunicare l’eventuale revoca dello stesso, almeno 5 giorni prima della su attuazione; nonché un analogo obbligo, per il singolo lavoratore, di comunicare preventivamente la propria adesione a scioperi proclamati nei servizi pubblici essenziali.
In verità, non appare comprensibile la presentazione del primo, essendo l’obbligo di comunicazione della revoca già ampiamente disciplinato nella legge, la quale prevede una precisa responsabilità in caso di revoca immotivata dello sciopero, nei cinque giorni prima la sua attuazione (art. 2 co.6, l.n.146/1990 e ss.mm).
Assume, invece, rilevanza l’introduzione di un dovere, per il lavoratore, di comunicare la propria volontà di aderire allo sciopero, in quanto tale prospettiva si collega alle esigenze di verifica della rappresentatività sindacale nella governance del conflitto nei servizi pubblici essenziali. Non solo, essa propone la necessità di rileggere la ratio principale della legge 146 del 1990, vale a dire il bilanciamento tra diritto di sciopero e diritti dei cittadini, alla luce di un criterio di proporzionalità tra effettiva consistenza dello sciopero (in termini di adesione) e conseguenze che esso produce sul servizio pubblico.
È una prospettiva che è già stata oggetto di dibattito tra Commissione di garanzia e parti sociali e sulla quale si registra la diffusa contrarietà da parte sindacale, comprese le maggiori confederazioni le quali, invece, appaiono più disponibili ad una verifica (anche legislativa) della rappresentatività sindacale, anche ai fini della titolarità a proclamare lo sciopero. Contrarietà che, in verità, risulta meno comprensibile se si pensa che la previsione di un dovere di comunicazione preventiva (a differenza della verifica della rappresentatività) non inciderebbe in alcun modo sulla titolarità del diritto di sciopero, quanto, piuttosto, sul quomodo, vale a dire su un profilo di esercizio di esso da parte del lavoratore.
Indubbiamente, poter contare sulla certezza del numero effettivo dei lavoratori che si asterranno dal servizio sarebbe estremamente importante ai fini della predisposizione delle soglie di servizio minimo da parte delle aziende e renderebbe più certa la comunicazione agli utenti, dei tempi e modi di erogazione. In tal modo si eviterebbe che uno sciopero con adesioni pari al 5 % dei lavoratori, proclamato per generiche motivazioni, produca una riduzione del servizio pubblico pari a quello di un’astensione posta in essere dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, nell’ambito di vertenze di particolare rilievo. Anzi, sarebbe sanzionabile il comportamento di un’azienda che, a fronte di scioperi dalla scarsa adesione, riduca tout court il servizio del 50% (percentuale minima prevista dalla legge), senza adeguarlo all’effettiva portata dell’astensione (l’esempio di scuola rimane quello della metropolitana di Roma).
Non si può accettare, dunque, l’argomentazione contraria alla previsione del dovere di dichiarazione preventiva di adesione perché nel settore dei servizi pubblici essenziali è comunque garantita, per legge, una soglia minima di servizio. Certo, il legislatore ha previsto la garanzia di un servizio, non inferiore al 50%, al di sotto del quale non si può scendere, indipendentemente dalla rilevanza dello sciopero. Ciò però non vuol dire che tale percentuale non possa essere ampliata in occasioni di astensioni che raccolgono adesioni insignificanti e che lucrano proprio sull’incertezza che esse generano, in termini di riuscita, perché non si sa chi vi aderirà.
Né, d’altro canto può condividersi la posizione che individua nella comunicazione preventiva di adesione allo sciopero una forma di schedatura del lavoratore. La partecipazione di questi allo sciopero sarebbe, infatti, nota dopo l’effettuazione dello stesso, e comunque l’autonomia collettiva potrebbe prevedere dei sistemi che garantiscano la riservatezza del lavoratore (ad esempio, una prima stesura dell’art.26 dello Statuto dei lavoratori, l.n.300/1970, prevedeva il versamento dei contributi sindacali con modalità di segretezza, stabilite dai contratti collettivi).
Ancor meno può valere il richiamo ad un diritto di autodeterminazione, pieno e incondizionato, che il lavoratore conserverebbe fino a poco prima dell’inizio dello sciopero. È evidente che qui l’esigenza di rendere nota, in tempo utile, la scelta del lavoratore di adesione integri un profilo del bilanciamento tra esercizio del diritto di sciopero e i diritti costituzionali dei cittadini utenti dei servizi pubblici essenziali.
In verità, l’aprioristica avversione verso qualsiasi forma comunicazione preventiva di adesione allo sciopero si ritrova forse in una subliminale cultura ideologica del ‘900 basata sul principio che lo sciopero debba procurare il maggior danno, con il minor sacrificio di chi lo pone in essere. Una cultura che però non è riproponibile nel contesto dei servizi pubblici essenziali, nel quale la terziarizzazione del conflitto ha ormai rinsaldato, appunto, la logica del bilanciamento dei diritti.
Come è ormai noto, l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali pone in capo ai soggetti, collettivi o individuali, dei precisi obblighi destinati ad incidere sulla libertà di autodeterminazione. Tra questi, per il sindacato viene limitata la possibilità di revocare l’astensione in qualsiasi momento; per il lavoratore, può essere prevista una disposizione che limiti la sua libertà di dichiarare, o meno, l’adesione allo sciopero.
La clausola relativa al dovere di comunicazione preventiva di adesione allo sciopero diventerebbe, così, un requisito di congruità degli accordi sulle prestazioni indispensabili, ai fini della valutazione di idoneità della Commissione di garanzia, a seguito della quale essi acquistano efficacia erga omnes.