L’articolo del Diario del Lavoro (SINDACATO E POLITICA: La Cgil si divide su Savona e lo scontro (feroce) va in rete su Facebook), firmato da Nunzia Penelope, è un piccolo capolavoro. Con l’approccio della cronaca (puntuali e coordinate le scorribande sui social) l’autrice mette il dito su di un problema vero, che non riguarda soltanto la Cgil e il suo prossimo congresso, ma ciò che rimane della sinistra: i rapporti con il M5S e con l’attuale governo. Se il Pd dovrà sciogliere – nel suo congresso e nella scelta del leader – questo nodo intricato sul versante politico delle alleanze di potere, alla Cgil toccherà di misurarsi sul versante molto più concreto ed immediato delle politiche. Sarà quindi la grande confederazione della gauche ad affrontare per prima la sfida non solo con i problemi, ma con se stessa. Una sfida che prenderà le mosse dalla legge di bilancio.
Per i gruppi del Pd in Parlamento sarà ancora facile fare opposizione (magari controvoglia, come è avvenuto in occasione del decreto dignità grazie all’aiuto di una provvidenziale tabella sugli effetti del provvedimento). Ma la Cgil dovrà dire dei sì e dei no sulle misure in materia fiscale, previdenziale e, in particolare, sul reddito di cittadinanza (per quel poco o quel tanto che sarà attuato nella manovra). E non potrà certo opporsi a quota 100 e a quota 41 (anche la Cisl ha dato un giudizio positivo per non parlare della Uil). Per salvarsi la coscienza la Cgil sosterrà che non basta pensare ai baby boomers ma che si deve provvedere anche ai giovani (la c.d. pensione di garanzia), fingendo di ignorare che la maggiore spesa derivante dalle controriforme pensionistiche e il rilevante numero di nuovi pensionati di anzianità che intaseranno il sistema per decenni manderanno il conto da pagare agli occupati di oggi e a quelli di domani (che quota 100 e quota 41,5 le vedranno col binocolo).
Impiegare, a regime, una ventina di miliardi (la somma delle quote leghiste e della pensione di cittadinanza cara ai pentastellati) è come gettare soldi dall’elicottero; vuol dire aver smarrito la gerarchia delle effettive priorità; significa creare problemi persino sul versante dell’offerta di lavoro nelle regioni più sviluppate del paese (con tassi di occupazione superiori al 70%) e quindi alimentare l’afflusso di nuovi lavoratori stranieri senza i quali i padroncini leghisti del Nord produttivo dovranno chiudere bottega non perché sono travolti dalle tasse (e aspettano la ‘’pace fiscale’’) ma perché non troveranno nessuno (tanto meno i giovani) disposto a ‘’far girare’’ le macchine nelle loro officine. Anche il Pd stenterà a condurre un’opposizione efficace verso questi provvedimenti. Basta vedere l’entusiasmo con cui una persona seria ed autorevole come Cesare Damiano ha rivendicato una sorta di primogenitura nell’aver proposto, inascoltato, tali misure.
Tornando al dibattito (Penelope lo definisce uno scontro feroce) tra i maggiorenti della Cgil, la controversia (in realtà si tratta della classica goccia che fa traboccare il vaso di altri dispareri che covano sotto la cenere e si proiettano sulla successione a Susanna Camusso) sembra riguardare una questione di metodo: è stato più o meno opportuno invitare – alle Giornate del Lavoro organizzate dalla Cgil a Lecce – Paolo Savona, considerando le sue posizioni sull’Europa? Alle critiche (dal mio punto di vista corrette) di Vincenzo Colla, altri dirigenti fanno notare che Gianna Fracassi, in rappresentanza della Cgil, ha espresso con grande chiarezza la posizione diversa della Confederazione.
Ma nella replica di Colla e di quelli che ne condividono le opinioni vi sono due argomenti inconfutabili. Il primo: in un recente passato la Confederazione non si è mai presa la briga di invitare (e di accogliere a braccia aperte) ministri di altri governi, non solo di centro-destra (come, per esempio, Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti), ma è stata piuttosto freddina anche con gli esponenti degli esecutivi della XVII legislatura (a cui hanno più volte negata la patente di sinistra). La seconda obiezione – che Emilio Miceli leader dei chimici rivolge ad Elena Lattuada segretaria della Lombardia – cala nel confronto aperto come un colpo di scure: ‘’ Elena, se i giornali riportano bene il dibattito, dovresti preoccuparti anche tu degli applausi. Significa che le nostre posizioni sono sostanzialmente irrilevanti agli occhi della nostra gente. È un problema”.
Proprio qui sta il punto. A parte le intemperanze di Salvini sui migranti (risulta tuttavia che molti militanti siano d’accordo con il Truce) la base della Cgil e parecchi dirigenti stentano a dissentire dalla linea di condotta del governo giallo-verde (non a caso il 10% degli iscritti ha votato per la Lega e il 33% per i ‘’grillini’’, il 4 marzo). E nel Pd si viaggia di conserva. Mi sono chiesto se sia stata più tragicamente patetica la passeggiata – una tantum – di Maurizio Martina nelle periferie della Capitale oppure se il primato spetti alla cena in trattoria che intende organizzare Nicola Zingaretti per farsi spiegare, tra una portata e l’altra, dove ha sbagliato il Pd. Ma come sceglierà i suoi commensali, il governatore del Lazio, affinché siano davvero rappresentativi delle categorie a cui appartengono? Con il sorteggio proposto da Beppe Grillo per i senatori? Oppure mediante un bando di concorso rigorosamente vistato dall’Anac?
Mi sentirei perfino di fare delle previsioni su come andrà l’incontro. L’imprenditore dirà che si devono tagliare le tasse, il professore che la legge sulla ‘’Buona scuola’’ lo ha messo stabilmente in cattedra fino alla pensione, ma lo ha trasferito lontano da casa, tanto da costringerlo a prendere possesso della cattedra e poi mettersi in malattia il giorno dopo, oppure ad andare alla ricerca di un parente che abbia il diritto alla tutela prevista dalla legge n. 104. Il cittadino residente nelle periferie gli dirà che è necessario abbattere con la ruspa le baraccopoli dei negher e dei Rom. Il lavoratore dipendente se la prenderà con la riforma Fornero e con il Jobs act (a proposito, il Pd lo difende ancora?). Così, alla fine della cena, al momento del conto, il ‘’vicecommissario Montalbano’’, al secolo Nicola Zingaretti, si troverà negli appunti il contratto giallo-verde. Il Pd la smetta di chiedere scusa agli italiani. Se è vero – come dicono i sondaggi – che il 60% degli elettori è disposto a votare Lega e M5S e che, una quota di egual misura approva il comportamento di Matteo Salvini nel caso della nave Diciotti, a sbagliare sono gli italiani. E tocca a loro assumersene la responsabilità.