Il tema del salario minimo fissato per legge, ha sicuramente un suo fascino e risponde a parametri di un paese avanzato, civile. Chi non vuole un salario sotto il quale non si può e non si deve andare? Ma è sul come ci si arriva che mi sembra si stiano confrontando idee diverse, tutte legittime e degne di interesse, spero sganciate da una logica propagandistica e di parte.
Intanto possiamo dire che in questo tanto vituperato paese non siamo all’anno zero?
E vediamo cosa ci si propone affrontando questo tema:
1)Fissare una quota minima oraria sotto la quale non si può andare per fermare la corsa al ribasso e dare dignità alle persone?
2)Questa quota minima deve essere rapportata alla tipologia della prestazione o deve essere uguale per tutti?
3)Si può fissare per legge la quota minima senza tener conto della riparametrazione dei profili professionali?
Insomma quale è l’obbiettivo?
Dare un valore dignitoso per ora lavorata e quindi al lavoro, perché oggi siamo in presenza di fenomeni di dumping retributivo inaccettabile, o contribuire ad alzare il valore delle retribuzioni?
Avremmo bisogno di perseguire entrambi gli obbiettivi ma le leve da attivare, sono diverse.
Bisogna dire, che un salario minimo nei fatti, fino a qualche anno fa, era determinato dai contratti collettivi, stipulati dalle centrali sindacali e datoriali, maggiormente rappresentative.
Poi, anziché fare una legge sulla rappresentanza sindacale con l’introduzione dell’efficacia erga-omnes dei contratti nazionali, si è data la possibilità a sindacati e associazioni datoriali inventati sulla carta, senza alcun riscontro rappresentativo, di firmare contratti e renderli efficaci attraverso il semplice invio al Cnel. Ciò ha determinato una corsa al peggioramento economico e normativo. Non dimentichiamo che anche la parte normativa si riverbera sul costo orario.
Quindi, per rispondere alla prima domanda, basterebbe far riferimento al salario minimo individuato dalle Organizzazioni Sindacali e Datoriali maggiormente rappresentative.
Una quota minima per tutti i mestieri non è realistica!
Se si vuol dare valore al lavoro, non lo si può livellare: l’apprendista infermiere esprime un valore maggiore dell’apprendista al centralino. Del resto imporre la quota minima uguale per tutti, potrebbe creare una crescita salariale per alcuni, ma un riferimento al valore più basso, per altri. C’è il rischio che una quota minima generalizzata per legge, venga utilizzata per pagare certe prestazioni, meno di quanto previsto dai contratti, con tanto di autorizzazione legale.
Una quota minima non la si può fissare, senza tener conto della riparametrazione per livelli professionali.
Insomma, se non si vuol tener conto dei minimi contrattuali, le possibilità sono due: o la quota individuata è più BASSA (il che sarebbe ridicolo e contro le intenzioni almeno dichiarate dei sostenitori), o la quota è più ALTA.
In tal ultimo caso se si alza il valore minimo, non può rimanere fermo il valore degli altri parametri, ci troveremo quindi in un aumento generalizzato complessivo, di cui saremo tutti contenti ma temo non funzioni.
Non c’è dubbio che i salari netti in Italia, sono tra i più bassi ‘Europa.
Così, come è palese che c’è un tema che riguarda una distribuzione più equa della ricchezza che ha determinato una distanza stratosferica, tra pochi sempre più ricchi e molti, sempre più poveri. Ma l’aumento percentuale del valore minimo va applicato a tutti i livelli riparametrati.
Se la scala parametrale tra l’ultimo e il primo livello, sta dentro un rapporto 100/200 (più o meno, varia da contratto a contratto), se 100 lo si porta a 110, 200, deve diventare 220. È un dato oggettivo.
E chi paga un aumento generalizzato su tutti i lavoratori e su tutte le categorie? A meno che non si voglia sostenere che l’aumento va solo ai profili più bassi.
La realtà è che, per i lavoratori inquadrati nei contratti nazionali maggiormente utilizzati, le differenze tra i livelli professionali, non sono elevate. Qualsiasi movimento parziale, rischia di sovrapporsi o avvicinarsi oltremodo, al livello superiore. Questo non è sopportabile per l’intero sistema.
Il fatto che il salario minimo esista negli altri paesi, di per sé non è un punto di forza, dimostra solo che è un sistema diverso.
Riterrei utile ed indispensabile:
1) Legge sulla rappresentanza sindacale
2) Estensione erga-omnes dei ccln stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative.
In questo modo:
1)si risolve il problema di un salario minimo dignitoso;
2)si fa una legge sulla rappresentanza comunque necessaria, evitando una frantumazione e una balcanizzazione sindacale portatrice di conflittualità latenti e dichiarate;
3)si evita il dumping sociale tra valori orari, definendo di fatto il valore minimo, agganciato a tutta la struttura delle retribuzioni dei vari settori.
Tutto questo non risolve il problema dei bassi salari. Per aumentare i salari si deve intervenire sulla riduzione delle tasse sul lavoro e su l’aumento della produttività.
Ma questa è un’altra storia.
Fabrizio Tola