Da noi la Festa della Liberazione non ha mai avuto il riconoscimento di altre ricorrenze che celebrano la nascita di una nazione, come il 14 luglio per i francesi o il 4 luglio per gli americani. A pensarci bene, però, neanche in Francia quello della vittoria alleata in Europa nella Seconda Guerra Mondiale ha lo stesso valore unificante del giorno in cui venne presa la Bastiglia. Così anche negli Usa non è festeggiata la fine della Guerra di Secessione, da cui nacque veramente (come raccontato in un celebre film) la nazione americana. Da noi, la Festa della Liberazione è sempre stata divisiva. Fin dal dopoguerra, è sempre stata consistente, anche sul piano elettorale, e attiva su quello politico, una forza ‘’nostalgica’’, che rifiutava di riconoscersi nella nuova Italia nata dalla Resistenza. Col trascorrere degli anni e con il mutamento del quadro politico è emersa, a sinistra, una linea di tendenza esclusivista, protesa ad annettersi quella ricorrenza e a precluderla ad altri partiti che non erano presenti, in quanto tali, alla scrittura ed alla sottoscrizione del patto del 1948. In sostanza, quando, agli inizi degli anni ’90, dei partiti del c.d. arco costituzionale fu risparmiato solo il Pci, non fu promossa una campagna di adesione verso le nuove forze politiche che si erano affermate nel frattempo, alle quali non fu riconosciuto un dna nettamente antifascista o comunque una sorta di legittimazione politica. Per ciò sembrò più facile e opportuno chiudere la porta del club, talvolta anche in modo ottusamente settario. Ricordo per tutti (e furono tanti, anche più recenti) quanto capitò a Letizia Moratti, costretta a uscire dal corteo del 25 Aprile, a Milano, insieme al padre non solo invalido e trasportato in carrozzina, ma ex deportato dai nazisti. E che dire dell’onesto Savino Pezzotta, fischiato durante il comizio celebrativo, in conseguenza di scelte sindacali che non c’entravano nulla con la Resistenza? In diverse circostanze è sembrato addirittura che gli avanguardisti dell’antifascismo fossero diventati i militanti dei Centri sociali, che si arrogavano tale primogenitura per negare ad altri il diritto di partecipare.
Ma in questo 2019, la Festa si celebra in un contesto politico e sociale del tutto inedito. A stare ai sondaggi (per fortuna non si tratta ancora di voti espressi) se il 25 aprile gli italiani fossero chiamati alle urne, la Lega si avvicinerebbe, forse da sola, alla maggioranza assoluta dei seggi, in ambedue le Camere; certamente l’otterrebbe in alleanza con gli ascari di Fratelli d’Italia. Come la mettiamo? Evitiamo pure di accusare di neofascismo questa possibile coalizione che uscirebbe dal voto (anche se FdI non rinnega le sue radici), ma segnali di preoccupazione ce ne sono e troppi. Come si spiega questa ‘’passione’’ per Matteo Salvini? Un personaggio che ‘’comanda lui’’, che ama le divise, che si fa riprendere armato di mitra? La sua fortuna politica è legata a narrazioni esagerate se non addirittura inesistenti: gli italiani sarebbero invasi dai negher, se non ci fosse lui a bloccare – quando serve – gli sbarchi dei profughi scrocconi e a difendere l’integrità dei confini. Se poi qualcuno di questi clandestini riesce a scappare al solerte ministro di Polizia, i cittadini sono in grado di provvedere da sé alla loro sicurezza: sparando a chiunque, avvicinandosi sotto casa, incute loro un grave turbamento. La legittima difesa è assicurata. E come politica dell’immigrazione non se la prende con gli schiavisti della raccolta del pomodoro, ma con quelle esperienze avviate lungo un percorso di integrazione e di convivenza solidale; anche a costo di trasformare in clandestini i titolari di un permesso di soggiorno umanitario. È questo che gli italiani vogliono?
Almeno i pentastellati hanno dato attuazione al loro delirante programma: il RdC è legge dello Stato; la prescrizione viene sospesa dal prossimo anno dopo la sentenza di primo grado; sono stati tagliati i vitalizi e le pensioni d’oro; bloccata la Tav. È vero, Salvini si è intestato quota 100, sottraendone la copaternità a Giggino Di Maio che è pur sempre il ministro competente. Ma il Capitano è tutto ‘’chiacchiere e distintivo’’, ‘’vorrei ma non me lo lasciano fare’’, ‘’chi si ferma è perduto’’, ‘’noi tiriamo diritto’’. Siamo in attesa del più celebre: ‘’È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende’’. Anche gli scandali (veri o presunti) non erodono i consensi del Capitano. Per di più la sinistra non esita a venire in soccorso del governo, spesso in modo estemporaneo. Si prenda, da ultimo, l’annuncio della presentazione da parte del Pd di una mozione di sfiducia. Nella maggioranza se le danno di santa ragione, litigano anche sul colore della tappezzeria della Sala Verde e sul cibo da dare ai gatti di Palazzo Chigi, ma la mozione li rimetterà d’accordo. In ogni caso, sul 25 Aprile incombe minacciosa la mole (by copertina del Time) di Matteo Salvini, il quale – lo ha detto Maurizio Crozza in trasmissione – avrebbe definito la ricorrenza della Liberazione come un derby tra comunisti e fascisti a cui lui non è interessato, tanto che in quel giorno sarà a Corleone a combattere la Mafia. Ma perché continuiamo ad osservare il dito che la indica senza dedicare attenzione alla Luna? Salvini è un problema di riflesso; quello vero sono gli italiani, ormai indifferenti verso un autoritarismo falsamente bonario ed impegnato nella costruzione di un’alleanza europea di partiti che ricordano i Cavalieri dell’Apocalisse, i medesimi di sempre: il nazionalismo, il populismo, l’identitarismo e il razzismo. E che – come ha detto Giggino Di Maio – si ostinano a negare l’Olocausto. Ecco perché il 25 Aprile 2019 non deve essere il 74° Anniversario della Liberazione, ma il primo di una nuova Resistenza.
TN