di Giorgio Santini Segretario Confederale CISL
La riforma del processo e delle controversie di lavoro introdotte dal “collegato lavoro”, definitivamente approvato nei giorni scorsi dal Senato, ha aperto un acceso dibattito e innescato molte reazioni non prive di strumentalità e distorsioni. In particolare si è voluto accreditare una tesi secondo la quale la riforma della conciliazione e dell’arbitrato sarebbe una modalità surrettizia per aggirare l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori.
Non è così e s’impongono, pertanto precisazioni e chiarimenti puntuali affinché sia garantita una informazione corretta, trasparente e soprattutto non allarmistica sulle nuove norme.
Quello della riforma del processo del lavoro è stato un tema oggetto di attenzione da parte della politica nel corso di diverse legislature, a fronte del preoccupante e crescente accumulo dei contenziosi lavoristici nei tribunali italiani.
In questo percorso, la Cisl ha rifiutato, di piegarsi alla logica dei radicalismi, tra l’indifendibile intoccabilità di un diritto del lavoro immobile e totalmente inderogabile e la de-regolazione esplicita e diffusa con il rischio di effetti lesivi dei diritti dei lavoratori, per guardare il merito e la sostanza delle norme che il Governo proponeva e per formulare, quindi, puntuali e rigorose richieste di modifica.
Questo atteggiamento ha permesso di ottenere significative correzioni all’impianto originario del ddl:
– la conciliazione e l’arbitrato sono un percorso parallelo a quello giudiziario che rimane pienamente agibile e disponibile;
– la scelta tra i due canali è volontaria, in capo ad ogni lavoratore;
– la gratuità delle spese di giustizia, in primo grado e in appello, è stata richiesta ed ottenuta proprio per non precludere ad alcuno l’accesso alla via giudiziaria;
– la contrattazione collettiva diventa lo strumento regolatorio della conciliazione e dell’arbitrato ed in particolare della clausola compromissoria (la clausola che permette la devoluzione ad arbitri delle possibili controversie derivanti dal contratto),
– vengono delimitati i soggetti erogatori della certificazione individuale.
Il testo licenziato dal Parlamento, pur recependo alcune tra le correzioni richieste dalla Cisl, presenta ancora aspetti problematici, alla cui soluzione, però, nessuno, tra le forze politiche e, in particolare, sociali, può e deve ritenersi “estraneo”, isolandosi su un Aventino di critiche senza costrutto e di grida manzoniane contro un presunto attacco frontale al diritto del lavoro o ancora di abolizione surrettizia dell’articolo 18 dello Statuto.
Perché la strada e gli strumenti per correggere e migliorare le criticità, per dare maggiori garanzie di efficacia e trasparenza a salvaguardia dei diritti, sono quelli reali della contrattazione collettiva: l’ambito in cui si misura la credibilità, la responsabilità e l’autonomia del sindacato nonché la sua capacità di confermare nei fatti la fiducia che riceve dai propri iscritti e da tutti i lavoratori.
Presumere che il rinvio ai contratti e agli accordi tra le parti non costituisca una accettabile condizione di garanzia è un insulto al sindacato, alla sua storia, ma soprattutto è un insulto a quei milioni di lavoratori e lavoratrici che quotidianamente in esso trovano risposte e tutele, individuali e collettive, mentre la politica spesso si arrende di fronte alla complessità dell’interesse generale e rinchiudendosi in improduttivi soliloqui.
In questo ambito è incoraggiante che autorevoli giuslavoristi di diverse opinioni rispetto alla legge, come il prof. Tiraboschi che sostiene il provvedimento o come il prof.Ichino e il prof.Treu, che non hanno risparmiato le loro critiche , siano accomunati nel riconoscere esplicitamente che la regolazione contrattuale della conciliazione e dell’arbitrato rappresenta la via maestra per una corretta attuazione delle nuove norme,senza pregiudicare il livello di tutela dei lavoratori.
Inoltre, chi ritiene che solo la via giudiziaria consenta la piena garanzia e tenuta dei diritti dei lavoratori omette di ricordare a se stesso, e alla pubblica opinione, i tempi insostenibili con cui i già oberati tribunali italiani affrontano le controversie di lavoro, la sostanziale disapplicazione delle norme che da ciò deriva e i danni che subiscono i lavoratori, in attesa dei giudizi per anni e anni.
Dati attendibili ci dicono che il 65% delle controversie di lavoro oggi affrontate attraverso la via giudiziaria, riguardano materie retributive e di inquadramento professionale che sono regolate solo dai contratti collettivi di lavoro e sarebbero pertanto più proficuamente gestibili attraverso conciliazione e arbitrato.
Dall’affidamento alla contrattazione collettiva possono derivare concrete opportunità per conferire maggiore equilibrio, più trasparenza e solide garanzie, alle modalità di esercizio dell’arbitrato e della conciliazione, in particolare per quel che riguarda l’arbitrato individuale certificato e la clausola compromissoria. Ma queste opportunità vanno colte ed esercitate con tempestività.
Infatti il comma 9 dell’art. 33 prevede che “solo accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative nazionali” possano prevedere clausole compromissorie che comportino la devoluzione obbligatoria della controversia ad arbitri. In assenza di questi accordi, trascorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, il Ministro del Lavoro potrà definire con proprio decreto, sentite le parti sociali, le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni.
Per questo è indispensabile utilizzare al meglio questa finestra di tempo aperta dal decreto per ricondurre la clausola compromissoria e l’esercizio dell’arbitrato individuale ad un ambito di condizioni e regole garantito dalla contrattazione collettiva, al fine di salvaguardare la pienezza del diritto e della libertà di ogni lavoratore, disinnescando potenziali abusi e distorsioni, su cui peraltro occorrerà attivare e mantenere costante una forte vigilanza.
In particolare va stabilito che la scelta del lavoratore di utilizzare l’arbitrato va fatta al momento del verificarsi della controversia e non al momento dell’assunzione.
Uguale attenzione poi sarà necessaria rispetto alla questione della certificazione dei contratti di lavoro e all’allargamento dei compiti di tale istituto. Per salvaguardare un corretto utilizzo di questo strumento, e anche a fronte dell’esperienza degli ultimi anni, riteniamo necessario responsabilizzare e coinvolgere maggiormente le parti sociali anche valorizzando, dopo aver meglio identificato il novero degli organismi di certificazione, il ruolo degli Enti Bilaterali. Questo consentirebbe, altresì, di contenere per i lavoratori i rischi connessi ad una eccessiva frammentazione dei soggetti abilitati alla certificazione.