Il collegato lavoro approvato qualche giorno fa, è una somma di norme – dicono i giuristi anche confuso , contraddittorio- che cambia la natura del diritto del lavoro.
Si è determinato uno specifico diritto del lavoro, di cui lo Statuto dei lavoratori è parte essenziale, perché si assume che nel rapporto tra i due contraenti, vi è una parte più debole, il lavoratore. Per questo il Diritto del Lavoro rifiuta la derogabilità da Leggi e Contratti, in quanto si considera che un eventuale accordo in deroga tra i suddetti due contraenti non può essere stipulato proprio in ragione della “diversa” forza tra i due soggetti.
Il collegato lavoro proprio su questo agisce, rende possibile la deroga dalle tutele.
L’argomento dai promotori del provvedimento di Legge è la lunghezza, i tempi degli iter processuali tali da rendere inefficace la giustizia, invece- sempre a loro avviso- con queste norme si semplifica e si accelera.
Si chiama intervenire sugli effetti invece che sulle cause, infatti, non si dota la Magistratura delle risorse e degli strumenti necessari per rendere efficace e tempestiva la giustizia, ma si sottrae ai lavoratori la possibilità di ricorrere in giudizio.
Quanta assonanza con tanti altri interventi sulla Giustizia: non processo giusto, ma processo breve.
Anche l’impedimento ai lavoratori di ricorrere in giudizio è un tassello di quel processo di degrado della democrazia e dell’equilibrio dei poteri che caratterizza la politica del Governo.
Proviamo ad immaginare un lavoratore giovane, oppure ultra-cinquantenne, che ha perso il lavoro; trova una possibilità di assunzione, magari precaria, a questo lavoratore verrà proposta la certificazione e la clausola compromissoria (ovvero la rinuncia a ricorrere in giudizio e l’accettazione dell’arbitrato). Quel lavoratore deciderà liberamente? Un’ altra assonanza quella con le dimissioni in bianco, una legge cancellata dal Governo in carica, una legge diretta a limitare un arbitrio delle imprese agito per la ricattabilità del lavoratore all’atto dell’assunzione.
Quel lavoratore potrà subire un ricatto e, se avrà un contenzioso dal licenziamento ad altro, si troverà di fronte ad un collegio arbitrale.
Qui il secondo strappo, quell’arbitro potrà decidere secondo equità, ovvero derogando, ignorando, le Leggi e i Contratti.
Perché se il fine fosse quello di garantire maggiore giustizia al lavoratore, si costruisce un meccanismo il cui fine è la derogabilità?
Per quel lavoratore, magari precario, un accordo tra le parti risolverà il problema?
Questa la tesi dei colleghi della CISL, riduzione del danno, per carità idea da non escludere mai a priori, ma in questo caso con ulteriori limiti, non tutela tutti, non risolve il vulnus introdotto dalla Legge.
Sommessamente vorrei suggerire che è una strana idea di autonomia contrattuale delle parti, quella di dover cambiare norme contrattuali_ nello spirito e nella sostanza_ per applicare una legge.
Così come, non siamo d’accordo, non lo eravamo già con la Legge 30, con l’idea della certificazione individuale del rapporto di lavoro.
Viene riproposto che avvenga negli Enti Bilaterali, si sostiene che è una tutela.
Immagino si consideri che la presenza del Sindacato sia una garanzia in più. Quale garanzia se il presupposto di quella certificazione è poter aggirare, derogare Leggi e Contratti?
Il collegato al lavoro, quindi, travolge art. 18 e non solo, interviene pesantemente sulla libertà del lavoratore, ha secondo noi, tratti anticostituzionali; ricorreremo alla Corte Costituzionale, per difendere i diritti dei lavoratori ed anche la nostra autonomia contrattuale.