di Nicola Alberta
Il recente provvedimento del Governo e la relativa legge delega approvata dal Parlamento il 3 marzo scorso ha registrato diversi rilievi critici oltre al rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Nella legge delega si intravedono segnali contraddittori, con aspetti eterogenei e problematici. Vanno citati ad esempio l’ennesima delega per la riforma degli ammortizzatori sociali, l’intento al riordino del sistema dei congedi parentali e dei permessi, la scelta di rivedere il part-time nel pubblico impiego, l’abbassamento dell’età dell’obbligo scolastico correlato all’apprendistato.
In materia di conciliazione e arbitrato i problemi principali riguardano la clausola compromissoria e il suo ambito di estensione ed efficacia, e l’arbitrato secondo equità, pur mitigato dal riferimento ai principi dell’ordinamento generale.
In via preliminare è opportuno sottolineare come sia fuorviante rappresentare il fenomeno delle controversie individuali di lavoro quale dato di “litigiosità” pretestuosa, che si segnala invece quale reazione del lavoratore a fronte della persistenza di comportamenti da parte dei datori di lavoro di lesione dei diritti, retributivi e normativi dei lavoratori.
Questo aspetto richiama una riflessione sulla ancora insufficiente qualità delle relazioni sindacali nel nostro paese, e l’esigenza che si affermino bensì i principi di rispetto di dignità del lavoro e di correttezza dei comportamenti da parte delle imprese.
La tutela giurisdizionale o arbitrale dei diritti si colloca infatti a valle dei problemi evidenziati, ed è sbagliato, così come ha fatto il Governo, ridurre il tutto a mera questione di strumenti di decisione.
Come Sindacato poniamo viceversa l’accento sull’intervento a monte, sul ruolo della contrattazione collettiva, sulla sua piena valenza di tutela normativa e preventiva.
I diversi strumenti processuali di tutela debbono quindi risultare “utili” ed efficaci per i lavoratori, posta la storica disuguaglianza del rapporto contrattuale tra lavoratore e impresa su cui si fonda il nostro diritto del lavoro, e debbono rappresentare reali opportunità, frutto di scelta, e non invece coercitivi.
Clausola compromissoria, esclusione del licenziamento e di altre materie
Per questa ragione la Cisl ha insistito in questi due anni di discussione parlamentare sull’esigenza di salvaguardare la libertà di scelta del lavoratore e la sua piena consapevolezza, avanzando critiche alla indiscriminata introduzione della clausola compromissoria all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro.
E’ stata quindi giusta e rilevante la dichiarazione comune tra le parti sociali dell’11 marzo che ha escluso il licenziamento dalle materie oggetto di clausola, che ora vincola il Governo in fase di recepimento.
Una impostazione che andrà però completata nel percorso parlamentare per circoscrivere ulteriormente l’ambito di efficacia della clausola, non includendovi i diritti fondamentali della persona, del diritto del lavoro e della salute, della libertà e dignità.
Nel rapporto di lavoro, trattandosi di “contratto di durata”, va previsto uno specifico mandato del lavoratore che delimiti oggetto e regole di riferimento per il ricorso all’arbitrato, o in alternativa la possibilità della revoca della clausola compromissoria, una sorta di diritto di ripensamento, entro determinati termini all’atto dell’insorgenza della controversia.
Arbitrato
Quanto al giudizio di equità, che è cosa diversa dal giudizio secondo diritto, anche se dalle dichiarazioni del Governo traspare un po’ di confusione, è importante che siano recepiti quali ulteriori principi di riferimento oltre a quelli dell’ordinamento, anche quelli costituzionali e contrattuali, i diritti indisponibili e quelli derivanti da norme comunitarie e internazionali, come richiesto dalla Cisl.
Prevedendo conseguentemente la possibilità di impugnazione del lodo arbitrale, non solo per vizi e nullità, ma anche per i motivi di diritto indicati, diversamente da quanto sancito nell’originario provvedimento.
Tutela giudiziale contro i licenziamenti
E’ necessario che la revisione della legge in sede parlamentare corregga il grave errore di “riammettere” la comunicazione del licenziamento anche in forma non scritta (ad nutum), oltre a prevedere l’allungamento dei termini di decadenza del diritto di impugnazione dei licenziamenti per i contratti atipici (es. i casi di nullita’ nell’apposizione del termine) oltre che per quelli discriminatori e nei confronti delle lavoratrici madri, perchè se pure va considerata l’esigenza di certezza dei tempi per le imprese, ciò non può avvenire sacrificando il diritto alla tutela dei lavoratori in sede giudiziaria, che l’ordinamento ha il dovere di apprestare in termini di effettività.
Il Presidente Napolitano ha giustamente richiamato l’esigenza che sui temi delicati della tutela dei diritti dei lavoratori, venga preservato un corretto equilibrio tra legge e contrattazione. Il nuovo provvedimento normativo pertanto dovrà assicurare un livello uniforme di tutela giudiziale in coerenza con i principi costituzionali, recependo aggiuntivamente quanto le parti definiranno in sede contrattuale, escludendo quindi qualsivoglia intervento “supplettivo” o sostitutivo del Ministero del lavoro, che risulterebbe contrastante con tali intenti.
Su questo la Fim e la Cisl non mancheranno di svolgere appieno il proprio ruolo sindacale.