Un Epifani tranquillo, forte della vittoria congressuale, interessato a spendere questa forza per rientrare nel gioco della contrattazione, tutto compreso poco attento alla necessità dell’unità sindacale. E’ apparso così il segretario generale nella relazione che ha presentato al congresso.
Sul tema dei contratti è stato molto chiaro, confermando le aperture che aveva già fatto al congresso della Fiom. Ha ribadito con fermezza che per la Cgil l’accordo del gennaio 2009 era sbagliato. Perché, ha spiegato, ridimensiona la contrattazione, istituzionalizza la derogabilità, dà troppo spazio alla bilateralità. Le stesse critiche che la confederazione aveva espresso dal primo momento, non era certamente in sede congressuale che sarebbe cambiato il giudizio.
Ma, ha detto ancora Epifani, noi non ci siamo fermati, abbiamo sempre trattato, abbiamo chiuso 40 contratti dimostrando che un’altra via era possibile. E ha ribadito la sua volontà di superare quell’accordo con una nuova intesa. Non ha detto come dovrebbe essere la nuova intesa, ha solo parlato di un accordo più leggero, meno rigido. Ma ha chiarito che è indispensabile perché la Cgil non resti nell’angolo, subalterna. E ha detto che questo nuovo accordo se possibile va trattato anche subito: non ci sono motivi per credere, ha detto, che aspettando sarebbe tutto più facile.
Parole importanti, attese, perché non è pensabile che un grande sindacato come la Cgil resti al di fuori della contrattazione per un periodo lungo. E infatti non a caso Emma Marcegaglia ha colto al volo l’apertura, affermando che non è possibile stravolgere l’accordo del 2009, ma che piccole modifiche si possono fare. Importante, del resto, è cominciare a trattare, poi l’intesa si trova.
Epifani è stato invece meno fermo sul tema dell’unità con Cisl e Uil. In realtà, formalmente non c’è nulla da ridire sulle parole del segreterio generale della Cgil. Epifani infatti ha ribadito tutte le responsabilità delle due confederazioni sorelle. Colpevoli di aver raggiunto l’accordo separato sulla contrattazione, di aver svolto innumerevoli riunioni con Governo e Confindustria senza avvertire la Cgil, di aver raggiunto un altro accordo con Governo e parti sociali sull’arbitrato, sempre senza la Cgil, di aver posto tanti ostacoli all’azione comune a difesa del lavoro. Colpe gravi, soprattutto in tempi di crisi, quando il sindacato dovrebbe al contrario restare unito per essere più incisivo, mentre invece è destinato, restando diviso e litigioso, a perdere ruolo e funzione, tornando alla contrapposizione degli anni del dopoguerra. Di qui l’invito a fermare questa corsa al massacro. Fermiamoci, ha detto, e ha aggiunto che spetta proprio alla Cgil, in quanto l’organizzazione più grande, fare qualcosa di più. Nel caso, partendo da un’intesa sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale, senza però dimenticare che, almeno per il primo di questi temi, è indispensabile ad avviso della Cgil, una legge che renda universale la disciplina.
Parole chiare, appunto, che però non sono apparse sufficienti ad allentare la divisione che tuttora resta tra le tre confederazioni. E questo non solo perché all’apertura il congresso aveva sonoramente contestato, con ripetuti e prolungati fischi e strepiti, oltre a Governo e Confindustria, proprio Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, per cui forse il segretario generale della Cgil avrebbe dovuto spendere qualche parola in più, fuori dal testo scritto, per sottolineare la volontà unitaria della sua organizzazione. Sarebbe servita un’enfasi diversa, parole diverse, una dichiarazione più convinta sull’importanza, non solo sulla necessità di restare assieme, di tornare all’unità sindacale di fatto. Epifani ha detto le cose che doveva dire ma senza quel calore che sarebbe servito per convincere davvero i suoi interlocutori.
Massimo Mascini