Con l’assemblea generale del 27 maggio la presidenza di Emma Marcegaglia festeggia il primo centenario dell’associazione ma, soprattutto, arriva al giro di boa del mandato. E come da tradizione, si aprono le grandi manovre per la prossima leadership. Al momento i giochi sono finalizzati a decidere “chi” sceglierà il prossimo presidente, più che il nome del futuro leader. In altre parole: nei prossimi mesi si definiranno i contorni delle varie cordate sullo scacchiere confindustriale, dopodiché si passerà a scegliere una rosa di possibili candidati. Tra i king maker intende assumere un ruolo di spicco Aurelio Regina, presidente della Uir (la Confindustria romana, la terza per peso), che secondo alcuni osservatori potrebbe però giocare anche una partita in proprio, ipotesi smentita, fin qui, dal diretto interessato. Ma in primo piano ci saranno anche Assolombarda, prima associazione territoriale per potere e numeri, quindi determinante per l’elezione del presidente nazionale, Torino, la terza, e il Veneto.
I primi due anni della gestione Marcegaglia sono stati caratterizzati, secondo i critici, da un’eccessiva acquiescenza nei confronti dell’esecutivo. Eletta esattamente negli stessi giorni in cui andava per la terza volta a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi, l’attuale presidente non si è distinta per aver reso difficile la vita a un governo dal quale, peraltro, la Confindustria non ha ottenuto granché. Ben più peso sembra avere, nelle scelte di Palazzo Chigi, la Cisl di Raffaele Bonanni, con cui peraltro la Marcegaglia ha stretto da tempo un patto di ferro di cui fa parte anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Un triangolo delle Bermuda, in un certo senso, che ha avuto la capacità di oscurare e mettere nell’angolo la Cgil di Epifani, riuscendo a firmare, dopo molti anni di tentativi andati a vuoto e malgrado i niet di Corso Italia, una molto inseguita ed attesa riforma dei contratti. Ma con quali concreti risultati, al di là del significato politico e simbolico (“yes we can”, anche senza la Cgil…) non è ancora chiaro. È chiarissimo, invece, che gli sforzi congiunti di imprese, sindacati e governo sono riusciti ad evitare un crollo drammatico dell’occupazione nei mesi più caldi della crisi. Tuttavia, poiché il tunnel è ancora lungo e non se ne intravede la fine, è difficile dire se di qui ai prossimi mesi la pace sociale che è stata comunque garantita anche dal senso di responsabilità delle imprese sarà confermata. Per tornare al clima interno con cui Confindustria apre la terza assemblea dell’era Marcegaglia, va sottolineato che il malcontento serpeggia nelle province dell’impero ma non ha (ancora) lambito i massimi organismi, e cioè Giunta e Direttivo, compattamente schierati con la presidente. Pesa però, e molto, l’irritazione dei piccoli contro i grandi, ma anche l’insofferenza dei grandi gruppi ex pubblici (a partire dall’Eni di Paolo Scaroni e dall’Enel di Fulvio Conti), stufi di essere considerati di serie B per cause “genetiche”, malgrado i numeri (e le quote associative) siano dalla loro parte. Si dirà: vecchi problemi, che hanno caratterizzato un po’ tutte le ultime presidenze confindustriali. Tuttavia, il problema che oggi ha Marcegaglia è anche quello di una scarsa progettualità, una ridotta visione, una sostanziale incapacità di fare scelte, di assumere posizioni. Una carenza di leadership, per dirla in breve, che desta preoccupazione nel mondo imprenditoriale: soprattutto nel caso di una crisi dell’attuale governo o di un aggravarsi della crisi finanziaria mondiale, una Confindustria “debole” non è esattamente il meglio che ci si possa augurare.
Nunzia Penelope