Ultimamente la Nestlè ha sottoscritto con il coordinamento delle Rsu e con le segreterie nazionali dei sindacati di categoria un importante accordo per sviluppare il telelavoro in azienda. Ne parliamo con Gianluigi Toia, responsabile delle relazioni industriali della multinazionale svizzera.
Come siete arrivati a questo accordo?
Abbiamo realizzato questa intesa perché siamo convinti che l’attenzione per le esigenze dei dipendenti renda più forte l’azienda. L’accordo prevede che la postazione di lavoro rimanga nell’ufficio, ma il dipendente potrà per un periodo lavorare da casa a seguito di esigenze personali. In pratica si lavora parte del tempo in ufficio e parte a casa. Si tratta di una formula flessibile in parte ancora da sperimentare. La postazione in ufficio viene comunque mantenuta per evitare che il rischio di isolamento dai colleghi.
Avete investito anche sugli asili nido?
Sì, da una parte abbiamo creato degli asili nido interaziendali aperti tutto l’anno. Queste strutture sono gestite da specialisti e sono aperte al territorio per rendere l’operazione sostenibile. Per esempio nell’asilo di Perugia, che può ospitare cento bambini, l’azienda si è riservata 20 posti, gli altri sono aperti agli esterni. Un’altra iniziativa interessante è il “Progetto90 giorni”, che prevede in azienda attività ricreative e formative dedicate ai figli dei dipendenti da 3 a 14 anni durante i periodi di ferie scolastiche.
Cosa vi ha spinto in questa direzione?
Spesso l’azienda rischia di perdere del personale molto qualificato solamente perché donna. Si tratta di capire che permettere alcune forme di elasticità garantisce alla Nestlè di non perdere buoni lavoratori. Ogni dipendente è un investimento che l’azienda fa e nel caso del lavoro femminile, che spesso è molto qualificato, è davvero importante investire nelle risorse umane e permettere al dipendente di conciliare la sua vita famigliare con quella aziendale. Un dipendente sereno è un vero investimento per noi.
Queste politiche sono molto più diffuse in Europa che da noi. Secondo lei a cosa è dovuto questo ritardo?
Credo che sia un fattore culturale. In Italia siamo ancora legati a vecchi modi di pensare. Oggi più che mai è fondamentale cambiare questa mentalità che danneggia prima di tutto le aziende stesse.
Quanto costano queste iniziative?
Nel caso del telelavoro non tantissimo, in quanto si tratta di fornire al lavoratore una linea Adsl dedicata solo al lavoro (per motivi di sicurezza), un portatile e un telefono aziendale. È importante dire che, al contrario di molte aziende che utilizzano il telelavoro per diminuire i costi abolendo la postazione in ufficio, la Nestlè non ha seguito tale strada. Infatti, come ho detto precedentemente, la postazione di lavoro in ufficio rimane e il telelavoro viene fatto solo per brevi periodi o in alcune fasce orarie decise con l’azienda.
Per quanto riguarda gli asili nido o il progetto “90giorni” in costi sono più elevati, ma i benefici per l’azienda rimangono comunque superiori.
Avete in programma altre iniziative per il futuro?
Ancora nulla di preciso, ma stiamo ragionando sul modo di superare le problematiche legate al lavoro femminile. Lo scopo della Nestlè è archiviare la disparità tra il lavoro maschile e quello femminile.
Luca Fortis
22 Luglio 2010