Tutta la partita Fiat si sta giocando sul futuro del contratto nazionale di lavoro. Non è un tema nuovo, tutt’altro. Sono decenni che si tuona contro il contrattone dei metalmeccanici, incapace a detta di tutti di dettare regole che si adattino alle piccole aziende orafe come agli immensi stabilimenti siderurgici. Si è tentato di tutto, ma sempre senza riuscirvi perché non si sapeva bene con cosa sostituire quello strumento, per quanto obsoleto. E poi c’era chi non voleva indebolire le rappresentanze di aziende e lavoratori. Una Federmeccanica forte era una certezza per tanti, così come lo erano i sindacati dei metalmeccanici.
Ma i problemi rimanevano e si sono ingranditi con la globalizzazione, che ha messo tutto il sistema produttivo alle corde chiedendo maggiore produttività per mantenere la competitività e quindi per assicurare la sopravvivenza delle aziende sui mercati globali, per definizione più difficili perché più affollati. La via tentata è stata quella della crescita del rilievo del contratto di azienda, o di settore, di filiera. Un contratto che dettasse regole specifiche per ciascuna azienda o quello che ne fosse l’ambito, per poter dare più spazio a innovazioni di prodotto o di processo in grado di arrivare a un obiettivo preciso, l’aumento della produttività.
Una via che anche la Cgil non ha scartato, anche se ha sempre difeso da ogni ridimensionamento il ruolo del contratto nazionale. Il compromesso trovato era stato quello di dare spazio al contratto di secondo livello lasciando però immutato la portata del contratto nazionale. La strada sembrava praticabile e un accordo possibile, quando la Cgil, o forse sarebbe meglio dire la Fiom, perché di questo a ben vedere si è trattato, non ha fatto un passo indietro. E infatti l’accordo del gennaio 2009 non ha avuto l’avallo della Cgil. Guglielmo Epifani non ha firmato l’intesa che tutto il mondo delle relazioni industriali aveva accettato. Con tutta probabilità lo ha fatto per non rompere con la Fiom che, anche in vista di questo scontro, si era alleata con l’altra grande organizzazione della confederazione, quella degli impiegati pubblici, e minacciava una conduzione tranquilla del prossimo congresso confederale. Fatto sta che quell’accordo non è passato all’unanimità e questo ha portato dei problemi che si sono tradotti soprattutto nella firma separata del contratto dei metalmeccanici.
In questa situazione è scoppiato il caso Fiat, prima a Pomigliano, poi in tutta Italia. L’accordo del gennaio 2009 prevedeva la possibilità di deroghe in sede aziendale al contratto nazionale e questo si è fatto con l’intesa di metà giugno, anche questa non firmata dalla Fiom. Si sono stabilite delle deroghe al contratto nazionale e si sono fissate delle sanzioni in caso di violazione dell’accordo. Ma la Fiom è stata sempre contraria, mettendo a rischio l’accordo stesso e l’investimento che era sotteso a quell’accordo perché la Fiat aveva precisato fin dall’inizio che era indispensabile la piena gestibilità dell’impianto produttivo, nel caso specifico la possibilità di evitare assenteismi clamorosi e di assicurare una serie cospicua di straordinari in alcune giornate di sabato.
Arrivati a questo punto la Fiat, per non tornare indietro nei suoi obiettivi di investimento in Italia (non solo a Pomigliano), ha prospettato vie diverse, tra le quali la non applicabilità del contratto nazionale, obiettivo da realizzare attraverso l’éscamotage di uscire dal pianeta Confindustria. Evidentemente le deroghe possibili a norma del contratto nazionale non gli sono sufficienti o non ha certezza che lo siano per cui preferisce spezzare con un colpo di spada il nodo gordiano che si trova di fronte.
Ma se il problema principe è la piena gestibilità dell’impianto, non è nemmeno con un nuovo contratto che si raggiungerà il risultato. Occorrerebbe dettare nuove regole per l’applicazione del diritto di sciopero e per la responsabilità dei sindacati e dei singoli lavoratori. Insomma, dovrebbero cambiare le regole di fondo che hanno governato in questi anni le relazioni industriali.
Relazioni industriali che, occorre sottolinearlo, hanno forse creato dei problemi, ma hanno sostanzialmente retto in questi anni. Procedere a colpi d’ariete, come sembra voler fare l’ad di Fiat, forse potrebbe pregiudicare la possibilità di trovare nuovi equilibri di forze.
Anche alla Cgil, che rappresenta il punto debole dello schieramento sociale, occorrerebbe dare più tempo perché trovi nuovi e diversi equilibri al suo interno. Il cambio della guardia tra Guglielmo Epifani e Susanna Camuso a fine anno non sarà indolore, porterà cambiamenti, di sostanza, non solo di facciata, ma è evidente che queste cose hanno bisogno di tempo per dispiegarsi.
Forse la strada indicata per Pomigliano, dove il nuovo sistema di gestione sarebbe stato applicato tra due anni, era abbastanza praticabile, proprio perché lasciava spazio ai possibili interventi correttivi delle storture in atto. Certamente è ancora possibile scegliere di andare in quel verso, magari optando per il contratto dell’auto, ma intanto lasciando tempo perché le cose cambino davvero. Potrebbe essere la soluzione migliore soprattutto perché non è chiaro cosa accadrebbe alle relazioni industriali in un prossimo futuro se si optasse definitivamente per la via più drastica.
Massimo Mascini
28 Luglio 2010