Il tramonto delle rigide gerarchie aziendali, proprie dell’organizzazione fordista del lavoro, e la crisi economica che per la prima volta ha colpito non solo operai e impiegati, ma ha lasciato a casa anche migliaia di dirigenti soprattutto 45-50enni (circa 13mila secondo le stime di Federmanager), impone un ripensamento della figura del manager e richiede, anche a favore di questa categoria, l’individuazione di misure di tutela e di sostegno.
Più di coloro che svolgono ruoli esecutivi, chi è chiamato a dirigere un’azienda, o settori di essa, deve oggi adeguarsi alle esigenze di flessibilità richieste dal mercato globalizzato, ed è sempre più chiamato a definire, nel nuovo contesto mondiale. Gli obiettivi di competitività dell’impresa. E’ il processo di internazionalizzazione che sta interessando le aziende italiane e non più solo quelle di medio – grandi dimensioni, a imporlo.
Ciò comporta anzitutto un salto culturale e, insieme, un salto di mentalità. Ma richiede anche un tipo di formazione diverso e un aggiornamento continuo. Il manager super specializzato in un determinato settore ha fatto il suo tempo, così come il dirigente legato ai destini di una sola azienda e che grazie a quell’azienda poteva godere di un rendita di posizione duratura. Quell’età dell’oro è finita, quelle rendite non esistono più. Come non esiste più un mercato pronto ad accogliere con relativa facilità chi vuole fare, all’interno del settore di competenza, nuove esperienze e migliorare la propria posizione.
Non solo. Cambiano anche gli interlocutori, fuori e dentro l’azienda. Non è più la stagione del manager che ha come unico interlocutore la proprietà e come unico scopo quello di fare gli interessi economici degli azionisti. Davanti all’economia globalizzata, alle sue sfide e agli shock che ogni giorno comporta, sorge la necessità di essere attenti ai mutamenti e aumenta la responsabilità sociale di chi ha l’onere della conduzione aziendale.
Lo stesso rapporto con le istituzioni territoriali e con le organizzazioni dei lavoratori diventa qualcosa di diverso da un semplice dovere d’ufficio da ottemperare alle scadenze di rito come le ricorrenze contrattuali o le comunicazioni ufficiali. Oggi serve il confronto continuo, inteso come condizione e opportunità di sviluppo. E serve uno sforzo di concertazione che, se praticata, per quanto faticosa, è garanzia di scelte senza traumi, di inclusione e di tutela degli interessi dell’azienda e dei lavoratori.
In questo quadro, anche chi rappresenta i manager assume su di sé una responsabilità nuova. Concordo con quanti sostengono che le associazioni di categoria debbano uscire in modo definitivo da ogni azione di tipo autoreferenziale puntando a trasformare, e a far recepire all’esterno, questa figura professionale come risorsa importante per lo sviluppo economico e sociale del paese. Del resto non siamo più di fronte ad un nucleo ristretto di persone com’era ai tempi del boom economico. All’inizio degli anni settanta i dirigenti d’azienda erano 15mila, quasi tutti con mansioni di vertice all’interno delle rispettive aziende (amministratori delegati, direttori generali o direttori). Oggi, per restare al solo settore manifatturiero, sono circa 100mila e a loro vanno aggiunti i manager pubblici e quanti operano nei settori del credito e della finanza, del commercio e del turismo: sono dimensioni importanti.
Come importante è il numero di quanti, in conseguenza della crisi di questi anni, hanno perso il lavoro. Molti, lo confermano statistiche e ricerche, per far fronte alle necessità quotidiane, si sono riciclati come consulenti presso piccole o medie imprese per attività di pianificazione, sviluppo e marketing. Anche per loro, in vista di un reingresso nel mercato del lavoro e nella prospettiva di una ricollocazione, servono interventi di sostegno formativo e azioni di rappresentanza sindacale incisive. Le competenze acquisite con l’esperienza di anni costituiscono un patrimonio importante che può essere utilmente speso nell’immediato. Ma questo patrimonio va aggiornato con un processo di formazione continua supportato, nei momenti di maggiore difficoltà, con quegli strumenti di sostegno al reddito dai quali i dirigenti sono tuttora esclusi.
Il manager degli anni duemila deve utilizzare la sua formazione per comprendere e dominare la complessità dei cicli della produzione ed il loro rapporto con l’andamento volubile dei mercati. Deve ricomprendere, in una visione unitaria, le ragioni di competitività delle aziende con quelle di una nuova tutela universale dei lavoratori nel tempo della globalizzazione. Può diventare un anello di congiunzione tra impresa e lavoro, attore di una nuova frontiera di partecipazione che possa rappresentare un indispensabile punto di coinvolgimento dei lavoratori.