In questi ultimi giorni prima delle ferie la vertenza Fiat continua a rimanere al centro dell’attenzione mediatica. Il Diario del Lavoro ha chiesto al segretario generale della Fim Cisl, Giuseppe Farina, un’opinione sugli ultimi sviluppi della trattativa.
La Fiat pone una sfida ai sindacati partendo dal fatto che gli stabilimenti della Fiat in Italia non raggiungono gli stessi risultati economici di quelli all’estero. Ha ragione l’azienda nel dire che vie è un problema di competitività dei siti italiani?
La Fiat con il progetto Chrysler ha dimostrato che l’industria dell’auto italiana ha ancora un buon know how, quindi non credo che si tratti di un problema legato alla capacità di innovare, ma piuttosto al fatto che i mercati in paesi come il Brasile si siano ripresi prima dalla crisi. L’Italia non è ancora ripartita in maniera stabile e per questo il mercato dell’auto ristagna.
Quindi secondo lei non ci sono per la Fiat grandi problemi di produttività in Italia?
No, anche il tema del costo del lavoro non incide così tanto da non rendere competitivi gli stabilimenti italiani. Non si tratta di abbassare ancora stipendi già bassi, ma piuttosto di riorganizzare gli stabilimenti e il lavoro in modo più efficiente.
Il caso Fiat può essere un punto di partenza per altre imprese metal meccaniche?
Per quanto riguarda il settore nel suo complesso, al contrario che nel caso della Fiat, vi è davvero un problema di bassa produttività. L’Italia dovrebbe puntare su un modello simile a quello tedesco. Le imprese devono garantire buoni salari ai lavoratori e in cambio devono ottenere una buona qualità del lavoro. Se nel complesso l’industria metalmeccanica italiana saprà tornare all’eccellenza allora potrà essere concorrenziale con i paesi dell’Asia.
I sindacati da parte loro come possono contribuire?
L’idea di lotta di classe è un’idea ormai superata. L’imprenditore non è più un nemico a cui opporsi. Oggi siamo arrivati a un punto in cui il rischio di impresa non appartiene più al solo imprenditore, ma anche al lavoratore. Vi sono casi in cui i lavoratori hanno azioni delle aziende per cui lavorano. Serve quindi un modello di relazioni industriali che tenga contro di questa nuova realtà. Anche il governo ed i territori in cui sono presenti gli stabilimenti devono comprendere l’importanza della collaborazione con le imprese e i lavoratori. È molto importante che via sia un clima favorevole allo stabilirsi di imprese che portino benessere alla comunità.
Tornando al caso Fiat dopo l’accordo separato di Pomigliano era necessario che la Fiat andasse avanti sulla New Company?
Per ora la New company è una scatola vuota. Quello che preoccupa erano le intenzioni che la Fiat aveva quando la ha creata. Infatti, l’idea di creare una società che fosse fuori da Federmeccanica e dal contratto nazionale era una brutta risposta alla strategia sbagliata della Fiom. Per fortuna siamo riusciti a bloccarla. Esiste un problema nato dalla non adesione della Fiom all’accordo su Pomigliano, ma non si può risolvere il problema in modo così drastico. La new company deve essere solo un modo per rimarcare la differenza tra la vecchia Pomigliano e la nuova, ma deve rimanere all’interno del recinto del contratto nazionale.
Quindi percorrete la strada delle deroghe previste nel contratto nazionale?
Sì, il contratto prevede che si istituisca una commissione che stabilisca una serie di deroghe.
La applicherete come chiede la Fiat anche in altri stabilimenti?
La commissione disciplinerà a livello di contratto nazionale quello che già si fa da tempo a livello territoriale. Si tratta quindi semplicemente di definire nel contratto nazionale delle regole quadro che precisino i confini entro i quali queste eccezioni potranno essere fatte. Nel caso della Fiat partiranno poi dei tavoli a livello territoriale che decideranno stabilimento per stabilimento come applicare queste deroghe. In linea di principio siamo disponibili ad applicare il modello Pomigliano in altri stabilimenti.
La Uilm ha proposto alla Fiat un accordo simile a quello dello stabilimento campano per Termini Imerese. Pensa sia una strada percorribile?
No, la Fiat ha chiarito che non intende più produrre auto in Sicilia e non penso tornerà indietro. L’importante è ridare vigore al tavolo sul futuro di quell’area industriale che ristagna dopo le dimissioni del ministro per le Attività Produttive, Claudio Scajola. È fondamentale che l’area industriale venga rilevata da nuovi imprenditori. In questo senso auspico che la Fiat abbia un ruolo in questa riconversione.
Pensa che la vertenza Fiat possa ridare ossigeno al dibattito sulla partecipazione partito con il tavolo sull’avviso comune?
Lo spero, ma non si può dire che ciò sia accaduto fin’ora. Questa vertenza per ora si è tenuta all’interno del solco delle vecchie relazioni industriali di stampo conflittuale. La Fiat ha semplicemente detto ai sindacati prendere o lasciare.
Cosa pensa della strategia della Fiom in questa vertenza?
La differenza tra la nostra strategia e quella della Fiom e che noi cerchiamo partecipazione e accordi, loro conflittualità.
LUCA FORTIS
05 Agosto 2010