E’ pronta la bozza di ipotesi di accordo per il riordino delle aree di contrattazione del pubblico impiego. L’Aran l’ha presentata ieri ai sindacati che la stanno esaminando per discuterla di nuovo lunedì prossimo.
I dipendenti della pubblica amministrazione attualmente suddivisi in 11 comparti, altre aree minori di contrattazione e otto aree dirigenziali verrebbero raggruppati in quattro comparti di contrattazione collettiva, come stabilito dalla riforma Brunetta.
Nello specifico la proposta dell’Aran definisce due grandi comparti con il personale delle Agenzie fiscali, dei ministeri, degli enti pubblici non economici, delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione delle Università (circa 300 mila addetti) da una parte, e del personale della scuola e delle istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (circa 900 addetti) dall’altra. A questi si aggiungerebbero il comparto unico per i dipendenti delle autonomie locali (circa 700 mila addetti) e quello per il personale delle Regioni e del Servizio sanitario nazionale (600 mila addetti). Le aree dirigenziali verrebbero a loro volta raggruppate in quattro aree autonome di contrattazione collettiva. Restano esclusi da questa ripartizione i comparti della Sicurezza e della Difesa.
L’accordo su questo nuovo assetto sembra lontano a causa delle posizioni differenti presenti non solo nel mondo sindacale ma anche in quello istituzionale. Per esempio la Conferenza delle Regioni vorrebbe l’accorpamento degli enti locali con la Sanità, richiesta che trova tutto il sindacato contrario.
Se si raggiungesse l’accordo sulle nuove aree di contrattazione cambierebbe anche la base elettorale delle Rsu, necessarie per eleggere la rappresentanza per i rinnovi dei contratti di lavoro che però sono stati bloccati dal ministro Tremonti.
Certo “sarebbe una contraddizione”, dice il segretario confederale della Uil, Paolo Pirani, spingere per il rinnovo delle Rsu prima della ripartizione dei comparti con i contratti bloccati.
La Cgil è pronta a trattare per migliorare la composizione dei comparti. Avanza però due richieste: unire in un unico comparto enti locali e Regioni, separati dalla Sanità, e accorpare gli enti di ricerca e sperimentazione e le Università nel comparto della conoscenza insieme alla scuola e alle istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale. Ma la cosa più importante per la Cgil rimane l’indicazione della data di elezione delle Rsu. Il segretario confederale Nicola Nicolosi, infatti spiega che “l’obiettivo politico rilevante è difendere la democrazia” e per questo insiste nel chiedere di “misurare il livello di consenso”. Una posizione abbastanza precisa sulla quale però la Cgil sarebbe disposta a trattare “se la decisione dei comparti dovesse essere propedeutica all’elezione delle Rsu”. Resta il fatto, sottolinea Nicolosi, che le Rsu vanno elette entro novembre, secondo anche quanto stabilito dalla legislazione vigente. Per quanto riguarda il blocco dei contratti, la Cgil esprime la propria contrarietà alla manovra correttiva, non accettando un’impostazione sbagliata contro la quale dichiara che “continuerà a lottare”.
“L’elezione delle Rsu è un’esigenza di tutte le sigle sindacali”, ribadisce il segretario confederale della Cisl, Gianni Baratta. A suo avviso si tratta di fare chiarezza, di stabilire, prima di votare le Rsu, quali sono i comparti e quali i settori. Questo non vuol dire, dice, voler ritardare l’elezione delle Rsu. Il punto è che la ripartizione dei comparti, spiega, è propedeutica. E proprio su questo nuovo assetto proposto dall’Aran la Cisl ha una posizione molto critica. Infatti per il sindacato di via Po quattro comparti sono troppo pochi. Per questo chiede che all’interno dei quattro comparti stabiliti siano individuati settori contrattuali con le stesse prerogative dei vecchi comparti.
“Siamo amareggiati e contrariati”, dice Baratta riferendosi al blocco dei rinnovi dei contratti del pubblico impiego deciso da Tremonti, però “i problemi si devono risolvere con le proposte e non con proteste che non portano a nessun risultato”.
Francesca Romana Nesci