Santarelli, stanno cambiando di segno le relazioni industriali?
Sta cambiando il mondo, le condizioni di competitività delle imprese. Non possono non cambiare anche le relazioni industriali. Purtroppo questo è un processo troppo lento, e non raccoglie ancora il consenso di una grande organizzazione come la Cgil.
La direzione del cambiamento è stata dettata dall’accordo sulla contrattazione del 2009?
Quell’intesa costituisce un punto fermo che consolida un percorso da tempo avviato, aprendo nuove prospettive di relazioni sindacali e contrattuali. L’accordo dell’aprile dello stesso anno tra le confederazioni sindacali e Confindustria ha specificato meglio i concetti dell’intesa del gennaio e adesso i contratti, in primis quello dei metalmeccanici, stanno rendendo operativi quei principi.
Il contratto nazionale cambia?
Deve diventare un contratto più leggero, di definizione di garanzie minime.
Questo non è pericoloso?
Sarebbe pericoloso se ciò non avvenisse. Operiamo in un contesto in cui le aziende hanno aperture internazionali prossime all’80%; per forza di cose il contratto nazionale deve essere considerato sempre più uno strumento utile non per evitare dumping tra le imprese, ma per dar loro maggiore competitività.
Ma un contratto più leggero non dà meno garanzie?
Assolutamente no. Io preferisco parlare di contratto flessibile, tale da stabilire una rete di garanzie per tutti, ma poi essere capace di accogliere modifiche che adattino alle realtà specifiche le norme del contratto nazionale.
Il livello aziendale diventa fondamentale?
Lo è. Si realizza così quel percorso in atto da tempo di portare il fulcro delle relazioni industriali verso l’azienda. E’ così in tutta Europa, è un processo che coinvolge tutti i paesi europei, a partire dalla Germania.
Non c’è il rischio di rompere in qualche modo l’unità dell’azione contrattuale?
Il contratto nazionale resta lo strumento fondamentale per il governo delle relazioni di lavoro. Per esempio, per la parte economica: non a caso nell’accordo che abbiamo firmato in questi giorni con Fim e Uilm il trattamento economico è considerato non modificabile. Il contratto nazionale resta una rete di tutele valide per tutti i lavoratori e tutte le aziende. Su altri istituti, l’orario, le ferie e altri, interviene pesantemente la legge. Su tanti altri istituti è possibile invece, ed è giusto, che le norme del contratto nazionale siano adattate a situazioni specifiche.
Crescerà il numero dei contratti aziendali?
L’obiettivo nostro, condiviso dai sindacati, è quello di ampliare l’area della contrattazione di secondo livello. Non a caso a luglio abbiamo firmato un accordo con le nostre controparti mirato proprio a favorire la realizzazione di accordi di salario variabile. In particolare abbiamo stabilito che in alcuni casi, se l’azienda non è in grado di perfezionare un accordo, intervengano le strutture provinciali, sindacali e imprenditoriali.
Le divisioni sindacali sono destinate a rientrare?
Penso che il tempo dimostrerà che il percorso intrapreso porta a miglioramenti della competitività delle imprese e delle condizioni di lavoro. Il problema fondamentale è aumentare la produttività del sistema, solo così possiamo attenderci miglioramenti.
Il negoziato interconfederale che si apre dovrebbe aiutare il riavvicinamento della Cgil al resto del sindacato e alla parte imprenditoriale?
L’auspicio è questo. Mi sembra che l’apertura di Confindustria a Genova abbia colto nel segno. Le proposte del vicepresidente Bombassei sono state apprezzate, è stato colto lo spirito con cui sono state avanzate. Spero siano in grado di produrre risultati in tempi non lunghissimi.
Ma sarà un negoziato veloce, diverso da quelli cui siamo stati purtroppo abituati?
Speriamo che sia così. Non possiamo permetterci di andare avanti lentamente, certe decisioni vanno prese in fretta.
Del resto, questa sembra una sorta di ultima spiaggia. Se fallisce questo negoziato non si vede quando e come riprendere un vero dialogo.
Ultime spiagge nelle relazioni sindacali e contrattuali non esistono. Importante è che riprenda un clima di collaborazione e di comprensione che nei tempi recenti è mancato. I tempi per un accordo del resto sono maturi, c’è stato modo in questi mesi passati di comprendere che le divisioni non fanno bene a nessuno.
Anche in tempi di divisione i contratti, tutti meno quello dei meccanici, sono stati comunque rinnovati unitariamente.
E questo è stato certamente un dato positivo. Adesso speriamo di poter riportare al dialogo anche un’organizzazione radicale come la Fiom.
La sua radicalità potrebbe venire meno?
Lo auspichiamo. I segnali che possiamo raccogliere però non lasciano sperare nulla, almeno in tempi brevissimi.
E’ comunque importante che al congresso della Cgil sia caduto il principio della unanimità a tutti i costi?
Non giudico le regole di funzionamento di altre organizzazioni. Certo, attribuire diritti di veto non è mai utile, in nessun luogo.
C’è stato un momento in cui ha corso qualche rischio la tenuta di Confindustria, quando la Fiat ha palesato la possibilità di una sua uscita?
In una così profonda e rapida trasformazione della realtà economica e sociale penso che tutte le organizzazioni di rappresentanza siano soggette a qualche momento di fibrillazione. Per quanto riguarda la vicenda specifica della Fiat mi sembra che i sistemi di Confindustria e Federmeccanica abbiano mostrato di saper dare risposte opportune anche in situazioni molto difficili come l’esperienza vissuta a Pomigliano.
Adesso che avete stabilito la possibilità di intese modificative delle norme del contratto nazionale, questo strumento si indebolirà?
Assolutamente no. Penso anzi che un contratto ampio come quello metalmeccanico si rafforzerà con la definizione di norme capaci di recepire alcune specificità di comparto. Non è un caso che il nostro contratto già preveda norme specifiche per la siderurgia e l’installazione di impianti e abbia previsto che una apposita commissione individui comparti omogenei e trovi poi per questi norme specifiche.
Non sarebbe stato meglio dividere in più contratti quello dei metalmeccanici, da sempre oggetto di critiche proprio per la sua eterogeneità?
E’ un dilemma antico questo. Diciamo che se adesso è possibile prevedere norme specifiche per comparti, il problema si stempera.
Ma dopo la Fiat molte altre aziende chiederanno norme specifiche per le loro necessità?
Noi abbiamo definito lo strumento, il cui accesso è consentito a tutti gli associati. Penso che sicuramente altri accordi seguiranno, ma non sarà una realtà dirompente, come qualcuno teme. E’ uno strumento da usare con parsimonia, rispetto a situazioni ben individuate di crisi o di sviluppo.
Massimo Mascini
01 Ottobre 2010