Una grande, lunga festa per salutare Susanna Camusso segretaria generale della Cgil. Oggi il direttivo l’ha eletta con l’80% dei voti, domani una vera e propria festa al teatro Quirino, per salutare Guglielmo Epifani, ma anche per salutare lei, darle il benvenuto. Baci, abbracci a non finire, tutti o quasi contenti.
Due giorni, poi cominceranno i dolori per questa donna fiera e grintosa, che dovrà affrontare problemi davvero ardui, di quelli da far tremare i polsi. Il primo compito sarà quello di riportare la Cgil al centro della vita economica e sociale del paese. Negli ultimi anni, è inutile negarlo, la Cgil si è trovata un po’ in un angolo. Spinta dagli eventi, dagli errori non sempre suoi, ma il risultato è stato questo e per il più grande sindacato italiano, forse dell’Europa occidentale, non è il meglio che possa capitare.
La Cgil ha sicuramente fatto bene a compiere le scelte che ha preso, i motivi che l’hanno spinta erano giusti e sacrosanti. Ma il risultato è quello, e adesso in qualche modo la situazione deve essere capovolta. La Confindustria le ha dato una mano importante, forse sostanziale. Con il convegno di Genova la Cgil è tornata centrale, gli industriali l’hanno voluta con loro a tutti i costi, anche pagando il prezzo, certo amaro, di dispiacere in qualche misura a Cisl e Uil, fedeli alleati quando c’è stato bisogno di fare qualcosa e la Cgil, invece, non voleva o non poteva.
Il nuovo corso è già stato avviato con il primo accordo tra le parti sociali siglato nei giorni scorsi, altri seguiranno. Ma, appunto, si tratta di proseguire per quella strada anche quando si tratterà di affrontare argomenti difficili, scabrosi: esattemente quelli sui quali si sono prodotte, in altri tempi anche recenti, le rotture. Susanna Camusso dovrà tenere la barra ferma, non abbandonare i propri principi, ma anche riuscire ad andare incontro alle esigenze degli altri, per arrivare assieme all’accordo. E non sarà sempre semplice, servirà duttilità e fermezza, capacità di guardare lontano, ma senza mai perdere di vista ciò che è più vicino.
Il secondo difficile compito che l’attende è quello di ricucire uno straccio di unità con Cisl e Uil. Mai i rapporti tra le confederazioni erano stati così rarefatti. Le distanze si sono via via ingigantite, è subentrata una visione profondamente diversa del modo di procedere. Gli assalti alle sedi Cisl di queste settimane non sono stati certe voluti dalla Cgil, che al contrario li ha condannati senza esitazioni, pronta a castigare propri iscritti o dirigenti che si siano macchiati di intemperanze. Ma stanno lì a dimostrare il clima di profonda avversione che è nato tra le confederazioni e che si sta ormai radicando, e questo è ben più grave, tra i lavoratori.
Cisl e Uil, per quanto è dato sapere, sono pronte ad accettare ed esaltare qualsiasi segnale venga dal nuovo vertice della Cgil, partendo da questo spunto per tessere una tela di rapporti meno tesi, meno improntati alla contrapposizione netta, come è stato sempre più in questi ultimi mesi. Ma questi segnali devono arrivare: occorre che qualcosa si muova, e la prima mossa deve necessariamente venire dalla Cgil.
Il terzo e forse più difficile compito è quello di normalizzare in qualche modo i rapporti tra la confederazione e la Fiom, sempre più autonoma, sempre più lontana. Le battaglie della Fiom non devono essere demonizzate in blocco, perché questo è un grande sindacato, con una storia e una tradizione lunga. Le sue prese di posizione hanno spesso una ragione profonda, una motivazione seria che trova preciso riscontro nella condizione del lavoro. Ma è anche vero che il divario tra Cgil e Fiom si è allargato in maniera eccessiva in questi ultimi anni, la Fiom ha agito sempre di più senza tener conto delle posizioni della confederazione, verso cui dovrebbe avere un atteggiamento forse non di subordinazione, ma almeno di attenzione.
Così non è stato, il contrasto è stato forte, il tentativo di forzare la mano alla confederazione sempre più scoperto. Adesso qualcosa deve cambiare, la Fiom deve avere un atteggiamento diverso, non può permettersi atteggiamenti diametralmente e platealmente opposti a quelli della confederazione. Nessuno vuole normalizzarla, spegnendone l’autonomia, ma un sistema più razionale deve essere trovato. Susanna Camusso non a caso tra le prime cose ha detto che sia la confederazione che la federazione di categoria devono affrontare questi problemi, facendo proposte e confrontandosi su di esse. Compito non facile, ma ineludibile. E se non si trovasse un accordo, dovrebbe comunque valere il primato della confederazione sulla federazione. In democrazia le divergenze sono ammesse, perfino auspicate, ma fino al momento del voto: subito dopo tutti, anche chi era di parare diverso, devono accettare la linea scelta. Del resto, se la Camusso è stata eletta con l’80% dei voti e non con un voto pressoché unanime vuol dire proprio che esiste una maggioranza e una minoranza, che possono dissentire tra loro; ma poi, presa una decisione, tutti devono seguire una sola strategia. Anche la Fiom.
Tre compiti difficilissimi, tre passaggi cruciali dai quali non ci si può esimere. Da come saprà affrontarli e portarli a buon fine dipenderà il ruolo della Cgil negli anni a venire.
Massimo Mascini