Uscire da Confindustria è un dettaglio. Detto così per chi segue le relazioni industriali da una vita è poco meno di una bestemmia. Ma l’ha detto Sergio Marchionne e allora tutto cambia aspetto. Diventa una previsione, una possibile proiezione, sulla quale occorre fare bene i calcoli, perché, appunto, potrebbe anche accadere. Al momento il precipitare delle trattative per Mirafiori fanno quasi sperare che si realizzi questo addio tra Fiat e Confindustria, perché potrebbe essere proprio questo il mezzo per tenere in Italia la Fiat. In fin dei conti quello che importa al paese è che la Fiat faccia sul serio quei 20 miliardi di euro di investimenti. Se poi, per avere questo risultato, che significa non solo posti di lavoro sicuri, ma un rango di produttore manifatturiero che altrimenti si appannerebbe, occorre pagare un prezzo in termini di adesioni a Confindustria, si tratta di capire cosa significa questo abbandono della casa madre confindustriale da parte del Lingotto.
Il problema non è quindi tanto se Fiat va via da Confindustria, quanto cosa accadrebbe dopo. Se si verificasse quell’effetto domino che molti paventano, prima tra gli altri Emma Marcegaglia che ha il compito istituzionale di mantenere la compattezza e la rilevanza economica della sua confederazione. Il pericolo è che ad abbandonare la Confindustria non sia solo la Fiat, ma tante altre grandi imprese, tutte a cercare quel vantaggio che verrebbe dalla non applicazione del contratto nazionale. Forse ogni impresa potrebbe cercare il proprio tornaconto facendosi un contratto su misura per le proprie esigenze, senza più dover tener conto di quelle degli altri. L’effetto domino, appunto.
Ma non è detto che ciò accada. Molti esponenti di grandi industrie, che abbiamo interrogato proprio su tale dilemma in questi mesi, hanno espresso parere contrario. Affermando, in pratica, che non succederebbe proprio nulla, perché una cosa è la Fiat, un’altra il resto dell’industria, anche metalmeccanica. Questo perché tante aziende, anche grandi e grandissime, hanno una concezione dell’adesione a Confindustria diversa da quella che evidentemente ha la Fiat, che non a caso considera un dettaglio essere associati o no.
Molti credono che l’associazionismo abbia una valenza precisa, che costituisca un valore stare assieme perché sarà anche vero che i corpi intermedi non hanno più valore o non hanno più il valore di una volta, è vero che la Confindustria deve a volte reclamizzare l’adesione alle sue strutture di categoria o di territorio più in termini di servizi prestati alle aziende associate che per quello che intimamente rappresenta, cioè la rappresentanza degli interessi presso le istituzioni e le controparti, e la diffusione della cultura industriale e d’impresa nel termine più ampio che si può dare a questi termini.
Ci si associa a Confindustria non solo perché così si applica quel contratto di lavoro che la confederazione tratta con i sindacati. Ci si associa perché si vuole stare assieme, perché si crede in certi valori e si vuole lavorare assieme per farli conoscere e diffondere. C’è un senso etico in tutto questo che forse a qualcuno ormai sfugge, ma che non ha perso consistenza.
E poi forse una Confindustria senza Fiat, o meglio una Federmeccanica senza Fiat, avrebbe meno difficoltà a rinnovare i contratti dei metalmeccanici, perché è un dato di fatto che in tante grandi e complicate aziende del settore i rapporti sindacali sono invece positivi, anche con la Fiom, con la quale si riesce, magari a fatica, ma ci si riesce, a raggiungere importanti accordi. La Fiat, per la sua storia, per le sue dimensioni (che peraltro non sono certo più quelle di una volta), per il carisma che ha sempre esercitato, è un interlocutore difficile quando si deve rinnovare un contratto. Senza di essa forse la politica del dialogo potrebbe avere più spazio, più fortuna e questo potrebbe, chissà, anche facilitare gli accordi.
Questo significa che ci si deve augurare che la separazione tra Fiat e Confindustria avvenga prima possibile? Certamente no, proprio perché l’associazionismo ha un valore che non deve essere mai dimenticato e una Confindustria più forte farebbe meglio il suo mestiere, che non è solo quello di rinnovare i contratti. La Confindustria nata alla fine degli anni sessanta dallo statuto Pirelli fu grande proprio perché riuscì a riportare al proprio interno tutte le grandi imprese che nel decennio precedente, per una serie di ragioni storiche, si erano allontanate e facevano in pratica storia a sé. Ma se eventualità del distacco dovesse avverarsi essa dovrebbe essere accettata con molto realismo, senza temere l’effetto domino, senza strapparsi i capelli.
Massimo Mascini