I recenti accordi su contrattazione e sviluppo realizzati a Treviso e Pordenone, che pubblichiamo in documentazione e che Paolo Feltrin commenta in un’intervista, sono la dimostrazione pratica che le relazioni industriali sono tutt’altro che morte nel nostro paese, e che -al contrario- la loro vitalità deve farci ben sperare, a dispetto delle notizie catastrofiche che vengono da Roma e dal mondo della politica.
Perché la realtà è questa: il negoziato avviato da Confindustria con Cgil, Cisl e Uil e le altre grandi organizzazioni imprenditoriali sta fallendo o forse è già fallito, ma le ragioni che hanno spinto a quel negoziato sono così vere e concrete che in altre situazioni, come appunto in queste due province le parti sociali- le stesse, sempre Confindustria e i tre grandi sindacati-, non hanno esitato a mettersi d’accordo per cercare assieme la strada dello sviluppo, attraverso il dialogo, l’interlocuzione comune con le istituzioni, l’elargizione di benefici salariali dove e per quanto possibile.
Lo schema dei due accordi, molto simili tra loro nella ratio se non nei particolari, è semplice. Le parti sociali si riconoscono -tutte, anche le varie sigle sindacali tra di loro- come portatori di consenso e assieme decidono di trovare le regole per riavviare la contrattazione aziendale, riattivare la competitività delle imprese, confrontarsi su basi congiunte con le istituzioni locali perché i piani di ripresa economica siano facilitati, aiutati, sorretti.
Sembrerebbe naturale tutto questo. E invece è proprio quello che al livello nazionale le confederazioni non riescono a fare, vittime delle loro asperità.
E questa altro non è che la dimostrazione che forse, a questo punto, considerando i veti incrociati e le incapacità degli attori nazionali, le nuove relazioni industriali possono nascere solo così, dal basso, empiricamente, attraverso sperimentazioni successive, fino a trovare le formule più felici. Del resto, così si faceva nei decenni passati, quando erano proprio le sperimentazioni della contrattazione articolata nelle grandi aziende a dare le indicazioni di come procedere, fino a quando i contratti nazionali non assumevano le soluzioni migliori, che venivano poi estese a tutti. Adesso che i contratti nazionali si sono ingorgati e le difficoltà competitive delle imprese chiedono soluzioni sempre nuove ai problemi anch’essi nuovi che nascono di continuo, è dalla sperimentazione dal basso che può venire l’indicazione vincente.
La strada è quella, ed è inutile demonizzare chi si muove in maniera eterodossa. Del resto, anche le vertenze Fiat di Pomigliano prima e di Mirafiori dopo, non hanno fatto altro che questo: indicare delle nuove possibilità di regolazione per far fronte a nuovi bisogni. Poi una soluzione trovata può essere esportabile o no, ma non fa nulla, importante è non restare fermi, ma lasciare spazio a chi vuole e sa innovare.
La speranza è che gli accordi di Treviso e Pordenone aprano la strada alla sperimentazione, che nascano i cento fiori di cui ci parla Feltrin, per poter dare materia ampia sulla quale far marciare poi la revisione della contrattazione.
Quello che ci piace è che a Pordenone hanno confermato e a Treviso hanno adottato il sistema di contrattazione articolata su base provinciale che le imprese del legno appunto di Pordenone sperimentano da dieci anni. Un sistema basato sulla scelta di una serie di parametri al raggiungimento dei quali legare la crescita delle retribuzioni: all’inizio di ogni anno le imprese scelgono due o tre di questi parametri, quelli che più loro convengono considerando i loro problemi, li comunicano alle rappresentanze sindacali e alla fine dell’anno, se i parametri sono rispettati, si fa crescere la retribuzione. Un sistema facile, che a noi tanto piace che tre anni fa abbiamo premiato proprio questo accordo come il migliore accordo di secondo livello. Evidentemente avevamo visto lontano.
Massimo Mascini