I capi del personale sono i soldati semplici delle relazioni industriali. Sempre in prima fila quando c’è da combattere, mai centrali quando c’è da fare un po’ di strategia. E’ difficile che nei dibattiti siano invitati a parlare, si preferiscono i professori, i polemisti, chi sa parlare. Eppure conoscono bene le aziende, conoscono i sindacati, con i quali si confrontano tutti i giorni, i delegati in fabbrica, ma anche i sindacalisti quando ci sono vertenze. E conoscono soprattutto i lavoratori con cui sono a stretto contatto. Ed è per questo che ci è piaciuta l’iniziativa del Gidp, perché finalmente ha dato loro voce, li ha fatti esprimere e così sono venute fuori delle cose niente affatto scontate.
La prima è che per loro l’unità sindacale sarebbe una mano santa. Si potrebbe credere il contrario, perchè se le confederazioni smettessero di litigare il sindacato in quanto tale sarebbe più forte e per chi rappresenta le imprese contrattare sarebbe più difficile. E invece no, è vero il contrario, i capi del personale avrebbero vita più facile se tornasse l’unità. E a ben vedere è anche comprensibile la loro presa di posizione, perché le divisioni portano problemi, laddove le relazioni industriali sono già una cosa complicata. E’ difficile mettere d’accordo sindacato e imprese, certo, ma se i sindacati sono tanti e ognuno la pensa in maniera diversa, se sono spesso e volentieri spesso in conflitto tra loro, le cose si complicano.
Ma questi manager, che sono sempre, a causa del loro lavoro, con i piedi per terra, sanno bene che l’unità ormai è un ricordo lontano e non si fanno illusioni su un possibile ritorno agli anni passati. Semmai si attrezzano per un futuro di divisioni sindacali. Ed è da credere l’altra indicazione prospettica che fanno, quella su una futura discesa del tasso di sindacalizzazione. Le tessere sindacali scenderanno, loro lo sanno bene, perché tastano il polso tutti i giorni ai lavoratori, vedono le curve delle iscrizioni per primi perché sono loro che trattengono le quote sindacali e se ci dicono che le adesioni scenderanno c’è da credergli.
Importante anche l’indicazione che danno sulla contrattazione. Il dibattito, si sa, è tutto tra contrattazione nazionale e/o articolata, le opinioni sono divise e supportate da grandi disquisizioni. Loro, che cercano soprattutto certezze che guidino il loro lavoro tutti i giorni, prima di tutto dicono una cosa, che la base deve rimanere la contrattazione interconfederale, quella sui principi, perché, credono anche se non lo dicono, le relazioni industriali devono svolgersi secondo un ordine preciso, servono regole che diano il senso delle cose per potervisi adeguare.
Una volta stabilite queste norme di fondo, la contrattazione può svolgersi al livello nazionale e a quello aziendale, ma, chiedono, i due momenti devono essere correlati tra loro, sempre, si deve credere, per lo stesso motivo, perché non si creino duplicazioni, pasticci, perché sia chiaro ciò che si fa e lo si faccia secondo un ordine preciso.
Sono pillole di saggezza che escono da questa indagine, miste a ovvietà che però loro tengono a ribadire forse proprio perché non tutti le ritengono tali, non tutti vi si adeguano. Così per l’affermazione che salirà nei prossimi anni la previdenza e la sanità integrativa: lo dicono non solo perché in questa direzione ci si sta incamminando, ma perché loro sanno bene che le retribuzioni di chi lavora non farà grandi salti in futuro, mentre la previdenza e la sanità pubbliche non saranno in grado di soddisfare le esigenze minime e quindi un supporto dalla contrattazione sarà indispensabile.
I capi del personale hanno detto ancora due cose importanti, la prima è che c’è troppa flessibilità in entrata, la seconda che ce n’è troppa poca in uscita. La prima è affermazione abbastanza usuale, lo dicono un po’ tutti, ma la seconda non la dice nessuno, è uno dei tanti tabù del mondo delle relazioni industriali. Dopo la dissennata battaglia dei primi anni 2000 contro l’articolo 18 questo è diventato intoccabile, nessuno ne parla più. Ma che esista un problema di flessibilità in uscita lo sanno tutti. Loro, i capi del personale, hanno deciso di rompere questo muro del silenzio e hanno affermato 0a piena voce che se ci fosse un po’ più di flessibilità in uscita, forse quella in entrata potrebbe anche calare. Insomma, hanno detto che il sistema è squilibrato, per cui se ci si mettesse mano certo non sarebbe un danno. Anche in questo caso hanno parlato chiaro. Forse varrebbe la pena di sentirli più spesso.
Massimo Mascini