“Le cooperative rispondono alla crisi con +5,5% di occupazione negli ultimi due anni”. A dirlo è il presidente Luigi Marino, nella sua relazione alla 37^ assemblea annuale di Confcooperative. La crescita di Confcooperative “è una nuova conquista”, ha detto, “a dispetto della crisi lunga, insidiosa e logorante”. E alla crisi le cooperative hanno reagito meglio di altre imprese, continuando a incrementare l’occupazione, +3% nel 2010 e +2,5% lo scorso anno. Si è passati da 507.000 a 535.000 persone occupate. “L’esercizio di questa funzione sociale però, ha detto il presidente, ha un prezzo: utili pari a un terzo rispetto all’ultimo anno precrisi”. Per continuare su questa strada le cooperative chiedono una politica di concorrenza, di legalità, di parità di accesso agli strumenti disponibili.
“Un salto di qualità”, osserva Marino, è stato compiuto anche con l’Alleanza delle cooperative italiane e R.ete. Imprese Italia, “innovazioni forti che realizzano un miglioramento dell’associazionismo imprenditoriale del Paese, in termini di semplificazione, coesione, credibilità”.
Marino ha poi ripercorso il bilancio di Confcooperative degli ultimi 10 anni. E’ stato un periodo di avanzata strutturale, ha detto, con un aumento del 17% dei cooperatori, 73,5% dell’occupazione, 79% del fatturato, 166% della raccolta delle Bcc. Il patrimonio netto è quasi raddoppiato e il capitale sociale è stato aumentato del 143,7%.
Ma “viviamo tempi difficili”, ha aggiunto il presidente di Confcooperative, e per questo “l’Italia ha bisogno degli Stati Uniti d’Europa, di un cambiamento demografico, di una conversione competitiva dell’economia, di una trasformazione della vita politica e di una modifica degli assetti costituzionali”. Nello stesso tempo, però, c’è la delusione nei confronti di un’Europa che “regola minuziosamente piccole questioni settoriali, ma non fa una politica estera comune. Non affronta unitariamente il fenomeno dell’immigrazione. Spende sulla coesione, ma non investe audacemente sullo sviluppo”.
Nel caso italiano la stabilità dei conti pubblici, la riduzione del debito e del deficit, il rispetto dei patti europei, “sono inderogabili”, ha detto Marino. “Il debito pubblico, al di sopra di una certa soglia, invece di alimentare la crescita, la impedisce. Non ho esitazione a dirlo: ridurre il debito è una politica di sviluppo e di giustizia sociale. Anche se bisogna lavorare intensamente per la crescita e per l’occupazione”.
Per Marino è necessario lo spirito bipartisan per sostenere scelte decisive. “Il dissenso in Italia assume spesso connotati di contrapposizione frontale, di mobilitazioni estreme, di scioperi politici, che travolgono le ragioni del diritto, del buonsenso, della democrazia. L’alta politica è indicare al Paese prospettive plausibili e convincenti (compresi i sacrifici) per generare crescita. L’alta politica è mobilitare le energie e i talenti migliori del nostro Paese”.
Sulla riforma fiscale, a suo avviso, si concentrano aspettative “irrealistiche, come quelle di una drastica riduzione delle tasse”. Invece, dice, dalla riforma bisognerebbe attendersi sradicamento dell’evasione, semplificazione fiscale, minor impatto sui redditi personali e più sulle cose e i consumi.
“Sull’energia, dopo la tragedia di Fukushima, siamo tornati all’impasse”, ha detto Marino. “E’ nuovo dovere del governo ridefinire il futuro energetico del Paese. E’ responsabilità degli enti locali e delle comunità locali accettare il potenziamento di fonti energetiche tradizionali (gas e carbone) accanto alla promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico”.
Poi ancora, a suo giudizio, è necessario correggere i meccanismi della spesa pubblica che la fanno crescere smisuratamente, eliminare le norme morte e velocizzare le opere infrastrutturali. Per quanto riguarda le liberalizzazioni i servizi, dice Marino, devono essere organizzati dai cittadini in cooperative. Mentre nel Mezzogiorno, la differenza “la farà la classe dirigente”.
“Allargare l’accesso agli ammortizzatori sociali e finanziare il Fondo centrale di garanzia sono stati i due argini eretti tempestivamente per contenere l’urto della crisi. La detassazione confermata del salario di produttività ha aperto una strada importante”. “Nelle relazioni industriali, ha detto sottolineato Marino, dobbiamo attuare effettivamente l’accordo del gennaio 2009, inventando buone pratiche, sperimentando e se serve correggendo”.
Per favorire lo sviluppo, ha ribadito il presidente di Confcooperative, è importante anche il ruolo delle associazioni. Le parti sociali devono disciplinare assetti contrattuali innovativi, offrire al governo avvisi comuni, anche su grandi questioni (come lo Statuto dei lavori, sul quale è da accogliere l’invito al confronto dell’esecutivo), tracciare percorsi di sviluppo.
Occorre poi, dice Marino, investire sul futuro e sull’occupazione giovanile. Perché l’Italia cresca di più, perché i giovani possano trovare lavoro, serve a suo avviso una riforma meritocratica, di cultura e di valori. “Non c’è futuro, ha detto Marino, se legittimiamo contratti da 600/700 euro per 40 ore di lavoro. Chi lavora deve avere la possibilità di far vivere una famiglia. Dobbiamo riproporre la dignità di qualunque lavoro, per quanto umile”. “È una strategia che, a suo avviso, comincia con una politica di rispetto e di valorizzazione della famiglia (anche sul piano fiscale). Prosegue con l’offerta di servizi per l’infanzia e poi formativi, dove la sussidiarietà delle esperienze cooperative può svolgere un ruolo consistente. Continua con le buone soluzioni di conciliazione tra famiglia e lavoro”.
Il presidente ricorda poi che nelle grandi cooperative l’occupazione a tempo interminato sfiora il 90% e si ferma poco sopra il 60% nelle micro imprese. Ma, dice Marino, ci sono misure varate e coperte finanziariamente che non vengono attivate. “È incomprensibile perché così poche regioni usino efficaci strumenti comunitari già collaudati per la capitalizzazione. Formazione, capitalizzazione, crescita di produttività e crescita dimensionale, integrazioni, restano le leve del progetto di occupazione del movimento cooperativo”.
Le nuove frontiere della cooperazione sono “le esigenze insoddisfatte degli italiani”, ha osservato Marino, dalla sanità al welfare, alle energie rinnovabili. Nascono nuove BCC, espressione di localismo e di sussidiarietà economica nei mercati globali, nuove cooperative agricole perché non c’è strada migliore per dare reddito e prospettiva alle produzioni locali di fronte ai grandi mercati. L’espansione delle cooperative in nuovi settori è accompagnata dalla qualità cooperativa: “Puntiamo su tassi ancora più alti di mutualità (oggi da noi l’82%) e sulla partecipazione più intensa dei soci”, ha affermato Marino.
Le condizioni per governare, secondo Marino, “non sono solo quelle formali dei numeri in Parlamento. Serve un governo che guardi e ascolti, e che abbia forte autorevolezza politica e morale”. “Aderiamo all’auspicio della Chiesa, ha detto, perché si formi una classe politica davvero plasmata da una vocazione di servizio al bene comune”. In questo senso, a suo giudizio, è importante l’impegno delle associazioni cristiane, “per riportare i valori fondamentali al centro dell’agire sociale e riproporli alla politica”.
Francesca Romana Nesci