Massimo Forbicini è il responsabile delle relazioni industriali di Vodafone. Per tre mesi, assieme ai sindacati di settore, ha pazientemente tessuto la tela che ieri ha portato all’approvazione dell’accordo per il ‘’trasloco” di 335 tecnici addetti alla manutenzione della rete, che passeranno da Vodafone Italia alla società Ericsson. Lasciando da parte i dettagli tecnici dell’intesa (che i lettori del Diario potranno trovare nei link alla documentazione, dove pubblichiamo integralmente il verbale di intesa) con Forbicini cerchiamo di affrontare, piuttosto, l’aspetto ‘’politico” del negoziato.
La trattativa è stata un po’ più lunga del previsto. Per quale motivo?
Credo che abbiano giocato due fattori. Il primo di tipo culturale: le persone hanno reagito in maniera emotiva al cambiamento del posto di lavoro. Il secondo motivo è legato a un fattore politico: il sindacato legge negativamente i processi di esternalizzazione, e ha bisogno di tempo sia per comprendere, sia per far comprendere ai lavoratori stessi, che anche questi processi possono essere gestiti con logiche di salvaguardia dell’impresa e delle persone.
D’altra parte, la stessa parola, ‘’esternalizzazione”, ha una accezione comune negativa: evoca una sorta di mercato delle persone, comprate e vendute….
Esternalizzazione è un termine giuridico infelice, ma è anche vittima di una strumentalizzazione: da parte dei sindacati, da un lato, e delle stesse imprese, dall’altro, che in molti casi lo hanno utilizzato come strumento per la gestione di quelli che in realtà erano licenziamenti collettivi. Ma non è il nostro caso: qui non si è trattato di ‘’comprare e vendere” persone. Anzi, abbiamo proprio lavorato per rivalutare questo processo, affiancando alla definizione giuridica un preciso ‘’senso” industriale: quello di creare partnership con altre aziende, alle quali ci unisce il progetto di dare sviluppo sempre maggiore all’indotto. Occorre prendere atto che non sempre è bene – ed economico, nel senso più ampio del termine – fare ‘’tutto da soli”: talvolta è preferibile affidare un determinato settore di attività a chi sa farlo come attività principale e meglio. Ed è la scelta che abbiamo compiuto affidando alla Ericsson la manutenzione della rete, ma nel contempo mettendo al centro del negoziato la stabilizzazione dell’occupazione e la garanzia, per tutti gli interessati al trasferimento, del mantenimento delle precedenti condizioni economiche.
Un accordo dunque piuttosto costoso, per voi.
Si, è un accordo che comporta dei costi importanti, ma li consideriamo un investimento, perché avranno un ritorno in termini di maggiore sviluppo.
Pensa che per le imprese seguire la strada delle esternalizzazioni sia ormai imprescindibile?
Sicuramente è un percorso che deve essere affrontato senza tabù e senza preconcetti, guardando a questo tipo di operazioni per quello che sono: non un modo per tagliare costi economici, ma, al contrario, per sviluppare sempre più l’indotto dei vari settori, creando sinergie con altre aziende. In questo modo si costruisce un sistema industriale efficiente, soprattutto in un settore innovativo come quello delle TLC. Compiere questo percorso in modo corretto, in ogni caso, non è solo responsabilità dei sindacati, ma anche delle stesse imprese.
Nei dubbi espressi dai lavoratori rispetto al trasferimento, quanto ha pesato il senso di appartenenza che li lega alla vostra azienda?
Indubbiamente ha pesato. Vodafone ha una storia culturale forte, che discende da quella di Olivetti, e poi di Omnitel. Ma si tratta di dubbi che è stato possibile razionalizzare, nel momento in cui ci si è resi conto che l’azienda che subentra, la Ericsson, ha a sua volta una storia, una cultura, un brand, una notevole attenzione alle persone e alla loro valorizzazione. Non si tratta di un’azienda ‘’mordi e fuggi”, come purtroppo ne esistono. Dunque, per i lavoratori interessati all’accordo, ci sarà un continuum, non un cambio drastico di regime.
Cosa le è piaciuto, e cosa eventualmente invece rimprovera, ai sindacati che hanno condotto il negoziato?
Ho apprezzato il grande senso di responsabilità dimostrato nelle fasi finali della trattativa, la capacità di trovare un giusto equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle dell’azienda. Si poteva tuttavia essere molto più rapidi nel raggiungere l’intesa e trovare l’accordo con meno dispendio di energie da parte di tutti.
In queste ore i sindacati, compresa la Cgil, e la Confindustria, stanno cercando di scrivere le regole base per le future relazioni industriali. Cosa ne pensa?
Credo che un accordo su questi temi sia ormai indispensabile. Il sistema di relazioni industriali in Italia ha scritto buona parte della storia economica di questo paese, è un valore in sé. Ma ora c’è una fase di profonda confusione, e quindi è necessario riscrivere le regole. Uno dei punti su cui occorre fare chiarezza è quella della certezza delle regole. Una volta fatto e approvato un accordo, si deve poter applicare: perché l’accordo stesso rappresenta una mediazione tra diverse istanze che è alla base della democrazia. Io credo, e spero, che su questo punto siano convinte tutte le organizzazioni sindacali, senza differenze: del resto, la Cisl, come la Uil, come la Cgil, che peraltro sta vivendo una fase di profondo ripensamento al suo interno, hanno una storia e una tradizione che le ha sempre portate a compiere, alla fine, scelte responsabili.
Nunzia Penelope