Alessandro Genovesi, segretario della Slc Cgil, ha guidato la trattativa con Vodafone per il passaggio di 355 tecnici alla Ericsson. A lui, come già Massimo Forbicini, capo delle relazioni industriali del gruppo tlc, chiediamo di raccontare ai lettori del Diario come si è arrivati all’intesa.
Innanzi tutto: perché ci avete messo così tanto a trovare un accordo?
Abbiamo voluto coinvolgere il più possibile tutti i lavoratori. Infatti, abbiamo fatto tre giri di asemblee e ben tre votazioni. Non è stata una perdita di tempo, però, ma il metodo giusto perché tutti fossero al corrente dell’andamento del negoziato. Anche il percorso con cui si arriva a una intesa è importante, non solo il merito. E non ci sono solo i tempi dell’azienda, ma anche quelli dei lavoratori. Infatti, il referendum sull’accordo alla fine, è stato un successo. Se non avessimo impiegato tutto il tempo necessario non sarebbe andato così bene.
Quindi, solo un’esigenza di democrazia?
No. La vertenza è stata lunga anche perche’, almeno nelle prime battute, Vodafone non aveva dato tutte le garanzie che noi chiedevano sul perimetro occupazionale coinvolto, né sul mantenimento dei livelli occupazionali, sia complessivamente che per quanto riguarda i 355 dipendenti direttamente interessati al passaggio ad Ericsson. Fino a quando non abbiamo avuto certezze, non si poteva chiudere. E per averle sono stati necessarie anche mobilitazioni e scioperi.
Pensa che la pratica delle esternalizzazioni sia ormai imprescindibile, per le imprese?
Assolutamente no, anzi. Ritengo che in alcuni settori, come quello delle Tlc, sia un errore. Portare intelligenze fuori da un’azienda è industrialmente sbagliato. Ma, più in generale, noto che il 90 per cento delle esternalizzazioni produce rapidamente riduzioni occupazionali fortissime. Questo perché le aziende che vi ricorrono generalmente le utilizzano come strumento per liberarsi dei lavoratori superflui. Con Vodafone abbiamo già discusso questo problema ai tempi dell’accordo Comdata. All’epoca, unitariamente con Cisl e Uil, avevamo chiesto una modifica dell’art 2112 del codice civile, che consentisse di stabilire che chi fa una cessione di personale per un dato numero di anni sia responsabile in solido del mantenimento dei livelli occupazionali e salariali del personale ceduto ad altre società.
E” esattamente quello che avete ottenuto nell’accordo Vodafone…
Si, ma lo abbiamo portato a casa con estrema difficolta’, e solo dopo una lunga vertenza. Il che dimostra che non e’ cosi’ pacifico che si vada in questa direzione.
Cosa valuta positivamente, nell’atteggiamento dell’azienda nella trattativa, e cosa negativamente?
Non mi è piaciuto un atteggiamento che definirei paternalista nei confronti dei dipendenti, che Vodafone ha dimostrato nella prima fase della trattativa. Un paternalismo che, in qualche modo, è l’altra faccia del senso di appartenenza al gruppo che sicuramente contraddistingue chi lavora in Vodafone. Ho invece molto apprezzato la coerenza dei dirigenti di Vodafone quando la Ericsson ha puntato i piedi contro la filosofia delle clausole sociali, e loro, invece, hanno tenuto duro.
Nello stesso giorno in cui è stato varato il vostro accordo le conferederazioni e la Confindustria hanno sottoscritto l’intesa su contratti e rappresentanza. Lei appartiene all’ala di minoranza interna della Cgil, come lo valuta?
Positivamente, perché prova a interrompere un ciclo e stabilisce regole, per quanto parziali. E’ un accordo che forse non risolve tutti i problemi che abbiamo ereditato da anni di divisioni sindacali, ma che sicuramente rappresenta un passo avanti nella giusta direzione. Appena poche ore prima della firma, si profilava un avviso comune separato, dove si sosteneva che la contrattazione aziendale avrebbe sostituito il contratto nazionale.Certo, ora è tutto da costruire e occorrerà una coerenza enorme per farlo. Ma, ripeto, è un passo nella direzione giusta. Un tentativo, diciamo, ma che va tentato fino in fondo.Per questo ritengo sbagliato demonizzare l’intesa.
Si riferisce alla Fiom, che ha dichiarato guerra. Eppure, anche lei fa parte della corrente di minoranza che al congresso si era opposta alla linea di Susanna Camusso.
Prima ancora di essere un esponente della corrente di maggioranza o di minoranza, io sono un uomo della Cgil. Quanto alla Fion, il discorso è complesso. Oggi, credo che la categoria interpreti al meglio la voglia di partecipazione che c’è nel paese, sa fare “comunità”, sviluppare senso di appartenenza. E Maurizio Landini è un eccellente sindacalista, dal quale c’è da imparare molto. Inoltre, non si puo’ immaginare la Fiom senza la Cgil, e viceversa: sono unite dallo stesso dna. Ciò detto, occorre che tutti la smettano di ragionare per vecchi schemi, accantonare l’ideologia del ‘’tradimento”, la divisione tra chi sta con la Fiom e chi con Susanna Camusso. Oggi la Cgil è in mare aperto, non ci sono più i punti di riferimento tradizionali. Dobbiamo imparare a mettere insieme radicalità e innovazione, se non vogliamo diventare residuali.
In altre parole, al direttivo del 5 luglio lei voterà si o no all’intesa?
Ragiono da sindacalista, e valuto gli accordi sul merito: se mi danno qualcosa, che sia tanto o poco, li approvo. Questa intesa ci toglie dall’angolo, e sicuramente ci consente di stare meglio di quanto stavamo prima della firma. Quindi, non ho dubbi sul mio si’.