I fatti di Rosarno del gennaio dello scorso anno, come quelli di Castel Volturno, non sono casi isolati ed episodici ma il frutto di ‘equilibri distorti’. Nuove Rosarno sono dietro l’angolo e specie in alcune zone del Mezzogiorno sono vere e proprie ‘polveriere’. E’ quanto emerge da un a ricerca sul territorio dal titolo ‘Immigrazione, sfruttamento e conflitto sociale’ che l’Ires Cgil ha realizzato in collaborazione con il dipartimento del Mezzogiorno, l’Ufficio Immigrazione, la Flai e la Fillea.
L’indagine consiste in una vera e propria mappatura delle aree a maggior rischio conflitto sociale del paese. In particolare le provincie di Caserta, di Crotone e di Napoli, sono le prime tre nella classifica tra le quindici provincie a maggior propensione rischio di conflittualità sociale.
La rivolta degli immigrati di Rosarno, come quella di Castel Volturno, non ha infatti una genesi casuale, “non è una mera questione di ordine pubblico in cui affiorano d’improvviso gravissimi atti di razzismo e xenofobia”, come spiega la ricerca, ma è il prodotto di una serie di fattori, di “equilibri distorti”. Profondi squilibri territoriali e di sviluppo che vanno ricercati nella “crisi economica, nelle condizioni di lavoro particolarmente dure al limite della schiavitù, in un sistema d’impresa in cui la contrazione del costo del lavoro è l’unica risposta per migliorare la competitività e in cui il peso del sommerso è sempre maggiore, nelle connivenze con la criminalità organizzata e nella mancanza di controlli da parte delle istituzioni”.
La mappatura prodotta dall’Ires sui ‘territori a rischio’ di conflittualità sociale è il frutto dell’aggregazione di quattro indici che corrispondono alla qualità dello sviluppo economico, dello sviluppo occupazionale, sociale e dell’insediamento della popolazione straniera. La combinazione di questi quattro indici, calcolati a livello provinciale, ha prodotto la classifica delle quindici provincie italiane a maggior propensione rischio di conflittualità sociale. Oltre le citate Caserta, Crotone e Napoli, potenziali rischi investono in successione le provincie di Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Reggio Calabria, Salerno, Catania, Trapani, Foggia, Taranto, Palermo, Agrigento e Lecce.
“Ciò che risulta chiaro dalla ricerca – sostengono le segretarie confederali della Cgil, Vera Lamonica e Serena Sorrentino -, a conferma delle nostre denuncie sul tema, è che la qualità del lavoro e della vita stessa degli immigrati è un paradigma imprescindibile per valutare la qualità sociale di un territorio”. Secondo le due dirigenti sindacali, infatti, “come lavorano e come vivono è una fotografia della generale qualità sociale”. Non per altro i fatti di Rosarno, aggiungono Lamonica e Sorrentino, “devono essere il punto di riferimento per determinare quelle politiche sull’immigrazione, sul lavoro sommerso e sulla legalità per produrre un complessivo miglioramento della qualità sociale”.
La ricerca precisa inoltre che non è la totalità delle provincie ad essere a rischio ma alcune particolari aree al suo interno. Risalta – visti gli indici alla base della costruzione di quello relativo alla conflittualità sociale – il fatto che risultino essere i territori del Mezzogiorno i più problematici rispetto a quelli del Nord. Infatti, in termini di qualità dello sviluppo economico, ovvero la misura della ricchezza prodotta, la classifica con il peggior indice vede ai primi quindici solo provincie del Sud. Anche per quanto riguarda l’indice della qualità dello sviluppo occupazionale – che esprime in generale la capacità del mercato di attivare il lavoro, garantire la sicurezza e, limitatamente al settore agricolo e delle costruzioni, corrispondere alle regole contrattuali – le provincie che registrano un indice più basso si concentrano nelle regioni meridionali.
Lo stesso dicasi per l’indice della qualità sociale, riferito a beni pubblici e relazionali, che esprime le potenzialità di benessere collettivo e di sviluppo sociale del territorio, che vede nei primi quindici posti soltanto provincie del Mezzogiorno. Infine, nello studio dei territori, è stata inserita la voce qualità dell’insediamento della popolazione straniera, che misura l’attrattività dei territori rispetto al fenomeno dell’immigrazione. Una scelta fatta nella consapevolezza, si legge nello studio, “di vivere in un paese il cui quadro normativo e sociale è inadatto quando non apertamente ostile al governo di un fenomeno così complesso”. E’ questo l’unico indice della ricerca che nei primi quindici posti della classifica delle quindici provincie italiane con il peggior indice di qualità dell’insediamento vede zone del Nord del Paese. I primi tre posti riguardano le provincie di Caserta, Ragusa e Siracusa ma al dodicesimo posto si piazza Milano, seguita da Genova e al quindicesimo Brescia.
Sulla base di quanto emerso dalla mappatura, infine, sono stati realizzati quattro studi di caso in specifiche aree di altrettante province: Caserta, Reggio Calabria, Foggia e Siracusa. Una ricerca, insomma, che per la Cgil è da intendersi come un punto di partenza utile alla creazione di un ‘tavolo’ permanente di confronto tra le diverse strutture del sindacato stesso direttamente coinvolte e le istituzioni locali, “per avviare un percorso di lavoro condiviso che permetta da un lato di individuare e proporre le policies più adatte, dall’altro di promuovere iniziative volte a prevenire e contrastare l’insorgere di questi fenomeni”.
Francesca Romana Nesci