Sateriale, dopo la manovra di agosto l’accordo interconfederale sulla contrattazione del 28 giugno è ancora valido?
L’articolo 8 del decreto del governo contiene un’impostazione alternativa rispetto a quella sancita dall’accordo di giugno: alternativa nella forma e nella sostanza.
Alternativa nella forma?
Ci si chiede a quale scopo appena un mese dopo la firma di un accordo interconfederale unitario, che le parti hanno considerato innovativo e in qualche modo foriero di un nuovo sistema delle relazioni industriali, il ministro del Lavoro abbia ritenuto di dover legiferare nelle stesse materie. Evidentemente non gli andava bene quell’accordo.
E nella sostanza?
L’articolo 8 contiene diverse violazioni di quanto scritto nell’intesa del 28 giugno. Ci si inventa la contrattazione di prossimità, ma non si cita mai il contratto nazionale, mentre la nostra intesa prevedeva i due livelli contrattuali e soprattutto una scala gerarchica tra il nazionale e l’aziendale. La contrattazione di secondo livello si esercitava nelle materie delegate dai singoli contratti nazionali. Questo non c’è più nell’articolo 8 del decreto, quindi la regolazione generale dei diritti, dei doveri, della condizione di lavoro, non c’è più. Ancora, sempre l’articolo 8 dice che la contrattazione aziendale si esercita su una quantità enorme di materie, su indicazione della legge e non dei contratti, su tutti gli aspetti della condizione di lavoro, fino al ricorso alle telecamere di controllo. Fino ad arrivare al licenziamento con indicazioni che aggirano l’articolo 18 della statuto dei lavoratori.
Quindi l’accordo non si può più applicare?
Il decreto del governo, con l’articolo 8, cancella principi fondamentali che stanno alla base dell’intesa di giugno. E introduce così un principio per noi inaccettabile, che il contratto nazionale può derogare la legge e il contratto aziendale. Questo non lo accetteremo mai.
Ma un contratto può derogare una legge?
Secondo noi no.
E allora?
Il rischio vero è che le novità introdotte non solo facciano saltare e regole dell’intesa interconfederale, ma producano la crescita esponenziale di conflitti di lavoro, individuali e collettivi.
Il governo ha voluto regolare una volta per tutte gli accordi Fiat?
Sì, ma paradossalmente non solo ha “condonato” le vertenze Fiat, ma ne ha fatto la regola generale. Stiamo convincendo gli altri soggetti che hanno firmato l’accordo, a cominciare da Confindustria, che la cancellazione dell’accordo di giugno, se il decreto venisse ratificato, è nei fatti, non è una scelta del sindacato. E poi, che il tentativo del governo riproduce una situazione di caos nelle relazioni industriali in Italia come si stava verificando prima del 28 giugno. Tanto che un nutrito gruppo di giuslavoristi di diversa tendenza ha creduto opportuno esprimere il loro sconcerto e la loro contrarietà ai contenuti del decreto, proponendo che l’articolo 8 sia ritirato dal governo.
Vi siete rivolti alle forze politiche?
Stiamo chiedendo loro quale risultato in termini di occupazione possa venire da questa forzatura del ministro Sacconi, quanto ciò sia coerente con la manovra anticrisi, quale effetto economico possa produrre nella realtà delle fabbriche.
Che risposte avete avuto dalle imprese?
Una parte delle imprese pensa di ricevere un beneficio da una forzatura delle regole. C’è una parte però che non ha alcuna intenzione di farsi carico dell’inevitabile crescita della conflittualità e della concorrenza tra aziende dello stesso settore con diverse regole e quindi diversi costi, senza più il contratto nazionale che garantisca unicità di trattamenti e costi.
Siete di nuovo distanti da Cisl e Uil?
Cisl e Uil sostengono che non ci sia contraddizione tra l’articolo 8 del decreto del governo e l’intesa di giugno. Ma non capiamo su quali argomenti poggi questa tesi. Perché, anche se si inserisce il criterio per cui gli accordi aziendali devono essere firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi per derogare contratti e leggi, restano le contraddizioni che ho indicato. Noi il 28 giugno abbiamo stabilito assieme non un regime di deroghe, ma linee di riforma del sistema della contrattazione. Noi vogliamo spostare il peso della contrattazione al livello aziendale, perché solo lì si può recuperare un maggior controllo delle condizioni di lavoro delle persone: non con le deroghe a leggi e contratti nazionali, ma con la sperimentazione di soluzioni innovative. L’accordo di giugno è il primo passo di questa riforma, siamo pronti a farne altri. Ma l’articolo 8 del decreto ci riporta fatalmente al 2009.
Massimo Mascini