“Le imprese elettriche, sia ben chiaro, nonostante una congiuntura particolarmente critica per il settore, non intendono tirarsi indietro, ma si attendono che sia riconosciuto il valore di chi investe”. Finisce con queste parole la lettera inviata da Assoelettrica a Parlamento e Governo per chiedere il ritiro della Robin Tax dalla manovra economica ritenendola una misura «discriminatoria».
Nel testo (firmato anche da Anev-Associazione nazionale energia del vento e da FederUtility) l’associazione nazionale delle imprese elettriche denuncia che l’innalzamento al 10% dell’Ires previsto dalla Robin Hood Tax “rischia di far ridurre gli investimenti per circa 15 miliardi nei prossimi anni. Molte aziende saranno anche costrette a rivedere la politica dei dividendi per rispettare i parametri finanziari imposti dalle Agenzie di rating”.
Il costo dell’energia elettrica per i clienti “è rimasto sostanzialmente invariato dal 2001 ad oggi a fronte di un aumento del prezzo del petrolio del 70%. I nostri investimenti rappresentano sviluppo ed occupazione, non solo per le centinaia di aziende del settore associate alle tre organizzazioni che firmano questo appello – scrivono ancora Assoelettrica, Anev e FederUtility – che occupano 60.000 addetti, ma, più in generale, per l’intero sistema industriale italiano, interessando un indotto di oltre 10.000 aziende e oltre 400.000 addetti”.
La Robin tax “colpisce un settore cruciale per lo sviluppo e la competitività del Paese, coinvolgendo anche le attività regolate, quali la trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, le cui tariffe sono fissate da un organismo terzo, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas. La stessa Autorità e la Corte dei Conti hanno evidenziato i possibili effetti depressivi sugli investimenti e l’economia. Effetti del tutto in contrasto con quanto richiesto dall’Unione Europea che ha chiesto al Governo interventi in grado di promuovere lo sviluppo e la crescita industriale del Paese”. “Questa penalizzazione rispetto agli altri settori industriali, attraverso un trattamento fiscale discriminatorio con un’addizionale che supera il 10% – concludono le associazioni – non trova peraltro giustificazione alcuna nelle dinamiche del prezzo del petrolio, che non hanno impatti sugli utili delle nostre aziende, e tanto meno nella redditività dei nostri investimenti”. (LF)
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