Gli anni della crisi sono stati duri, ma il sistema industriale ha retto bene, le aziende hanno mostrato una ottima capacità di adattamento, il rapporto con il sindacato ha funzionato bene, tranne il caso isolato dei metalmeccanici della Cgil. Pierangelo Albini, vicedirettore per le relazioni industriali di Confindustria, crede che sia mancato un certo protagonismo sui temi generali della politica industriale. E pensa che l’accordo di giugno, firmato in questi giorni, apra una nuova felice stagione.
Albini, che relazioni industriali avete avuto negli anni di crisi?
Dipende dal punto di osservazione. Cambia se si prende in esame la situazione delle aziende o il rinnovo dei contratti nazionali, o i rapporti interconfederali. A seconda dell’ottica puoi avere valutazioni differenti.
Nelle aziende come sono andate le cose?
Nei momenti di crisi per le imprese tutto dipende dalla capacità di adattamento che sanno esprimere. Questi anni sono stati molto difficili, ma le imprese hanno dimostrato di avere molto sangue freddo. Hanno utilizzato con bravura gli strumenti che avevano a disposizione, gli ammortizzatori sociali.
Un giudizio positivo?
Direi di sì. Tra strumenti efficaci e buona abilità di utilizzarli, è stata espressa un’ottima capacità di reazione alla crisi. E non è stato facile. Pensi all’uso della cassa integrazione in deroga. Le risorse non sono mai sufficienti, allora devi essere capace di svolgere ragionamenti diversi, più macro, devi trovare accordi con le altre rappresentanze datoriali, devi esprimere degli equilibri generali.
Perché le risorse sono limitate.
Certo, quando non sono sufficienti per tutti e te le contendi con gli altri devi ingegnarti, usare l’intelligenza, fuggire le tentazioni egoistiche.
Insomma, la prova è stata superata.
Sì, è stata usata l’intelligenza, sono state abilmente miscelati gli ammortizzatori sociali con politiche attive e passive.
E agli altri livelli?
Forse a quello interconfederale non è stato fatto tutto quello che era possibile per passare questi anni difficili.
Cosa è mancato?
Non vorrei essere ingeneroso. Sono state fatte cose utili e intelligenti, c’è stata una grande attenzione. Basta pensare all’accordo del 2009 per la contrattazione e la rappresentanza, abbiamo costruito un sistema completo di relazioni industriali.
Si poteva fare qualcosa di più?
Sì, per la politica industriale. Qui forse qualcosa è mancato. Come parti sociali dovevamo riuscire ad avere un confronto più stabile sui questi temi. Dovevamo riuscire a mettere in fila le cose che accadevano, guadare più in là. Abbiamo seguito tutte le aziende che, alle prese con le loro crisi, approdavano al ministero dello Sviluppo o al ministero del Welfare. Ma non abbiamo mai davvero fatto una sintesi. Abbiamo fatto tante fotografie, è mancato un film.
Una colpa grave?
Non è questione di colpa, è mancato un ragionamento diverso. Noi e i sindacati c’eravamo sempre, ma non abbiamo fatto il salto che invece era necessario. Non abbiamo sfruttato fino in fondo l’opportunità che la crisi ci offriva.
Ma non doveva essere il governo a offrire un ragionamento in più, a fare politica industriale?
Sì, ma anche noi dovevamo esprimere qualcosa in più, trovare una strategia.
Il rapporto con i sindacati ha funzionato?
In tanti settori i rinnovi contrattuali hanno funzionato, le intese sono state raggiunte in tempi brevi. In altri, e mi riferisco soprattutto ai metalmeccanici, questo non c’è stato. Anche se con Fim e Uilm abbiamo avuto relazioni molto positive, la Fiom è stata un’anomalia.
L’accordo di fine giugno, che adesso avete firmato tutti, può aprire una nuova stagione di relazioni industriali?
Sicuramente sì. Con questo accordo abbiamo messo in agenda temi centrali come la contrattazione e la rappresentanza. Almeno potenzialmente si apre una nuova stagione, la sfida è riempire di contenuti queste scatole.
Compito difficile?
Ci si deve impegnare. Sono regole facili, semplici, come quella per cui si vota e vince chi ha la maggioranza. Poi ci sono gli accordi modificativi, che aprono uno spazio di flessibilità alla contrattazione aziendale, ma in maniera ordinata. L’intesa sostanzialmente dice di no alla giungla, lasciando però spazio alla contrattazione aziendale per aggiustare meglio le regole generali a certe realtà, sempre per avere incrementi di produttività. Mi sembra la direzione giusta. La Cgil innegabilmente ha fatto dei grandi passi, adesso il sistema di relazioni industriali ha una sua sistematicità.
Il pericolo paventato da qualcuno era per il futuro della contrattazione nazionale.
Noi parliamo di contratto leggero, ma il nazionale mantiene tutta la sua rilevanza e centralità. Deve però lasciare spazio alle intese aziendali, perché è solo in quella sede che può realizzarsi l’auspicato scambio per una maggiore produttività.
L’articolo 8 del decreto legge sulla manovra vi ha complicato le cose?
Al netto del tema della retroattività, per cui mi sembra sia stata trovata una soluzione positiva, l’altro principio di quell’articolo è stato quello dell’erga omnes degli accordi aziendali. Ma questo è il fondamento dell’accordo di giugno. Aggiungerei solo che se il legislatore fa proprio questo ragionamento, deve poi essere coerente fino in fondo, lasciare spazio alle parti sociali.
Massimo Mascini