Crogi, come commenta i molti casi di caporalato scoperti negli ultimi cinque mesi?
I risultati delle ispezioni per noi sono motivo di soddisfazione. Per un lungo periodo, infatti, la figura del caporale è stata patrimonio di conoscenza solo degli addetti ai lavori. La legge di agosto 2011 sul caporalato è stata positiva perché ha incrementato la pena per il caporale procedendo al suo arresto.
Prima non era perseguibile?
Assolutamente no. Pagava un ammenda pecuniaria solo nel caso in cui si riusciva a dimostrare che la persona impiegata si trovava in stato di schiavitù. Per verificare questo serviva la denuncia del lavoratore con il risultato che il dipendente ingaggiato dal caporale perdeva il lavoro e difficilmente ne trovava uno nuovo. Nel caso in cui era immigrato con i documenti non in regola rischiava di essere espulso dall’Italia. La legge ha dato delle risposte alla nostre richieste ma mancano ancora delle cose.
Quali?
Un sistema di sanzioni per le imprese che ricorrono ai caporali e un sistema di tutela per i lavoratori immigrati che rischiano con la denuncia di perdere il permesso di soggiorno.
L’agricoltura è il settore in cui si presentano più casi. La frequenza è la stessa in tutta Italia?
No il caporalato è un fenomeno presente quasi esclusivamente al Sud. Al Nord per coprire forme di illegalità viene fatto un uso distorto del voucher in cui la paga salariale non corrisponde alla paga oraria. Al Sud il voucher non è impiegato perché la paga di 7,50 euro netti pagati con il buono viene considerata troppo alta rispetto ai 4 euro l’ora che in media i caporali pagano ai lavoratori in molte zone ad esempio del leccese.
Quali lavoratori colpisce di più?
Coinvolge tutti, italiani ed extracomunitari. Solo che gli immigrati rischiano di più della perdita del posto di lavoro a causa del reato di clandestinità. Addirittura esistono caporali extracomunitari che nei loro paesi procurano falsi permessi di soggiorno per far venire in Italia le persone a lavorare nei campi con la connivenza di imprenditori italiani malavitosi.
La riforma del mercato del lavoro ha cambiato qualcosa?
Assolutamente no. Volevamo più controlli, ma non li abbiamo ottenuti. Il problema è anche quello di reperire le risorse per intensificare le ispezioni.
Cosa si potrebbe fare invece?
Innanzitutto servirebbe una coscienza diversa. Poi garantire la trasparenza del lavoro agricolo, gestendo, ad esempio, il collocamento in un luogo pubblico, invece che privato come avviene oggi. Il fatto è che le agenzie per l’impiego non sono mai decollate. Si potrebbero invece costituire liste di prenotazione con il vantaggio per l’imprenditore di trovare attraverso queste manodopera senza rivolgersi al caporale. Poi si potrebbero premiare le aziende virtuose attingendo ai fondi Fas, ai piani per lo sviluppo rurale, alla detassazione e agli incentivi.
Francesca Romana Nesci