Massimo Trinci, segretario generale della Feneal Uil, a fine dicembre scadrà il contratto nazionale, quando comincerete a trattare per il rinnovo?
Il 25 ottobre ci ritroveremo con i sindacati degli edili di Cgil e Cisl per il varo della piattaforma che poi presenteremo all’Ance per avviare la trattativa.
Quali le novità tra le richieste sindacali?
In questo momento è molto importante recuperare il potere d’acquisto. La nostra richiesta è di circa 130 euro al parametro 100. Poi c’è da aprire un discorso riguardo alla situazione degli enti.
In che senso?
E’ necessaria una regionalizzazione degli enti perché non hanno risorse per andare avanti. Del resto per fare questo bisogna superare alcuni ostacoli come, ad esempio, la difficoltà dell’Ance di gestire le strutture territoriali. Ci sono poi anche altri problemi che non vengono affrontati dalla piattaforma, come il rapporto, nel caso delle casse edili, tra contributi e prestazioni.
A livello di contrattazione territoriale mancano ancora molti contratti da rinnovare?
Sì, abbiamo rinnovato integrativi a macchia di leopardo e per ora siamo al di sotto del 50% di contratti rinnovati. Abbiamo chiuso negoziati solo in alcune grandi città e anche una Regione sempre tra le prime a rinnovare i contratti come l’Emilia, ha visto la chiusura della trattativa per il rinnovo dell’integrativo solo a Parma.
Perché, quali sono i problemi?
E’ tutto incentrato sulla produttività, quando in realtà si potrebbe discutere anche di altre tematiche. Ma su questo c’è un rifiuto al dialogo e, oltretutto, mancano indirizzi a livello nazionale, senza i quali non è possibile chiudere partite a livello territoriale.
Però in alcune Regioni i contratti si sono rinnovati.
Questo perché c’è tendenza, in questa fase di non governo, da parte di alcuni territori ad autorganizzarsi a livello regionale. Emerge una contrapposizione tra centro e territori in mancanza di regole condivise. Questo comporta che si creino situazioni diverse, con territori forti come la Lombardia, l’Emilia o la Toscana e altri meno come la Sicilia. È importante che, in questa situazione di immobilismo nazionale, ci sia sperimentazione e semplificazione a livello regionale.
L’edilizia riuscirà a uscire dalla crisi? Quali sono le sue previsioni?
Il fatto è che la teoria keynesiana secondo la quale l’edilizia è il volano dell’economia non è più applicabile. Mancano i soldi per investire in infrastrutture, c’è la crisi dell’industria del cemento perché non si riesce a costruire. L’unica via d’uscita in questo momento è puntare sulle ristrutturazioni. L’Italia, come altri Paesi in crisi in questo momento (Spagna, Portogallo e Grecia) ha più problemi a riconvertire le proprie attività industriali. Inoltre le ristrutturazioni vengono fatte soprattutto da imprese non strutturate e lavoratori autonomi e riguardano il centro delle città perché sono sostenute dai ceti medi.
Quali sono i progetti della Feneal?
Il 21 e 22 novembre ci sarà la conferenza organizzativa a Chianciano. Il vero obiettivo sarà quello di lanciare un rafforzamento dell’organizzazione a livello regionale, un riassetto che non segua né lo schema istituzionale, né quello della Confederazione ma che punti a riorganizzare le strutture in funzione delle richieste. Vogliamo rafforzare il ruolo delle casse edili, distribuire le risorse in modo armonico, intensificare la formazione, anche attraverso l’utilizzo di nuovi mezzi informatici, affinché il rapporto con la Confederazione sia dotato di autonomia. Puntiamo a una figura del sindacalista non è tanto rappresentata da quella della Rsu o Rsa, non è un elemento conflittuale ma una persona che aiuta a erogare servizi.
Lo spostamento dell’asse della contrattazione al secondo livello funzionerà anche per gli edili? Servirà riorganizzarsi?
Ricordo che oltre il 50% dei contratti territoriali non sono ancora chiusi, quindi su questo fronte mi sembra che l’edilizia non sia pronta per questo passaggio. In teoria sono convinto che bisognerebbe spostare la contrattazione a livello territoriale, ma poi la situazione di crisi del settore non lo permette. Per quanto riguarda la riorganizzazione servirebbe attribuire un ruolo maggiore alle categorie, ma bisognerebbe prima fare una riforma su questo.
Francesca Romana Nesci