Il tema della produttività è al centro del confronto tra le parti sociali da quando il Governo ha sollecitato un accordo da poter spendere in sede di Ue, tra le riforme virtuose da introdurre nel nostro Paese.
La problematica è urgente per una duplice ragione: si inserisce nel percorso di attuazione all’accordo del 28 giugno 2011 tra Cgil,Cisl,Uil e Confindustria, ed è sempre pressante la richiesta dei sindacati di ripristinare i requisiti dei benefici fiscali sul salario contrattato a livello aziendale e correlato all’andamento della produttività e su cui il Governo aveva introdotto restrizioni, infatti, il Governo ha condizionato all’esito del confronto con la disponibilità allo stanziamento di 1,6 Md per il 2013 e 2014 per i benefici fiscali, annunciando nuovi criteri selettivi.
Nelle settimane scorse, a fronte di una prima bozza presentata dalle imprese, si sono svolti una serie di incontri, che hanno portato al 17 ottobre ad un’intesa in sede tecnica su un primo documento tra Confindustria e Cgil,Cisl,Uil. A quel punto il fronte delle imprese si è diviso, e Abi, Ania, Rete Imprese Italia, Cooperative, dissociandosi dal confronto, hanno presentato un proprio documento distinto, che differisce in alcuni aspetti dal primo.
Occorre quindi attendere il nuovo incontro fissato per mercoledì 31 ottobre per conoscere gli sviluppi futuri.
Il documento cui erano giunti le Organizzazioni sindacali e Confindustria, lasciava sperare in una convergenza di obiettivi e d’intenti e avviava, finalmente l’attuazione dell’accordo del 28 giugno su temi dell’effettività della contrattazione, delle relazioni sindacali e della rappresentanza. Accanto a queste tematiche erano infatti trattati opportunamente anche gli altri aspetti rilevanti dell’accordo come la partecipazione, il welfare integrativo, dell’occupabilità, il mercato del lavoro e dei giovani.
Ora però, su tavolo vi sono le richieste di Abi, Ania, Rete Imprese Italia, Cooperative, che tendono, in nome della produttività, ad appesantire una serie di aspetti delicati delle condizioni di lavoro.
Si evoca infatti il superamento degli automatismi nei contratti nazionali, ovvero il salto del meccanismo dell’Ipca di recupero e allineamento con l’inflazione, che oggi stranamente viene considerato eccessivamente protettivo, mentre non più tardi di tre anni fa veniva additato come fonte di riduzione del salario reale. Si afferma inoltre, che parte delle quote di aumento salariale dei contratti nazionali, debbano essere spostate a livello aziendale e correlati all’andamento della produttività al fine di beneficiare del regime di sgravio fiscale. Si trascura però il nodo della scarsità delle risorse pubbliche necessarie per l’operazione dimenticando che uno spostamento di questo tipo si tradurrebbe in un pesante ribaltamento della logica del sistema contrattuale del 1993 e del 2009, che prevedeva appunto compiti differenziati tra i due livelli di contrattazione: assegnando al primo la tutela del potere d’acquisto e al secondo, la contrattazione salariale integrativa correlata a obiettivi di miglioramento produttivo. Una strada diversa, ora, significherebbe un salto all’indietro, a prima del 1993, con il rischio di ricadere nei problemi e negli squilibri di allora e comporterebbe per i lavoratori, la riduzione del potere d’acquisto e conseguentemente per l’economia, l’indebolimento progressivo di una quota rilevante di domanda interna.
Vi sono anche altri aspetti problematici indicati in modo prescrittivo: dalla possibilità di demansionamento con il superamento dell’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, all’incremento dell’orario effettivo di lavoro attraverso un non meglio precisato intervento sui permessi retribuiti e le flessibilità, fino ad una nuova regolazione della materia del controllo a distanza per consentire al datore di lavoro il monitoraggio della produttività, pur nel rispetto, si afferma, del diritto alla riservatezza del lavoratore.
Ma obiettivamente, tali interventi non sembrano così decisivi ai fini dell’incremento della produttività, quanto piuttosto rispondenti ad antiche istanze delle imprese volte ad accrescere i propri spazi di discrezionalità in azienda.
Un’ottica deformata però, in quanto sottovaluta l’importanza degli innumerevoli accordi aziendali, con pieno coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori, sull’organizzazione del lavoro e sulle turnistiche realizzati in questi decenni anche prima di Pomigliano (2010) e che hanno consentito un migliore utilizzo degli impianti, la tutela delle condizioni di lavoro e il giusto riconoscimento economico dei lavoratori; inoltre trascura gli elementi di debolezza e ritardo del sistema Paese su l’economia , sul sistema manifatturiero, sul funzionamento della pubblica amministrazione e sulla carenza delle infrastrutture, come del calo della domanda e del freno agli investimenti innovativi, elementi che, nel loro insieme, condizionano pesantemente il non positivo andamento della produttività di sistema.
E’ auspicabile quindi, che su tali criticità si concentrino le parti sociali, evitando inutili diversivi e facendo leva sui veri punti di forza della partecipazione e della contrattazione dare finalmente prospettive al nostro sistema.
Nicola Alberta, segretario generale della Fim Cisl Lombardia