Sta vivendo ore convulse il negoziato per la produttività. Le parti trattano a oltranza, ma l’accordo sembra lontano, tanto che qualcuno comincia a pensare alla scorciatoia di un accordo separato. Se non si può avere l’assenso di tutti, dicono, meglio accontentarsi di andare avanti nella strada tracciata con chi ci sta. Nemmeno vale la pena di precisare che l’accordo separato vedrebbe l’esclusione (o autoesclusione secondo alcuni) della Cgil.
In questa situazione capire da che parte stanno le ragioni è compito inutile prima che ingrato, perché ciascuno pensa di avere tutte le ragioni, soprattutto perché i valori cui ci si riferisce sono diversi. Ciò che per qualcuno è accessorio per altri è determinante, per questo differiscono i comportamenti. Forse vale la pena di cercare di capire come effettivamente stanno le cose.
Il punto più controverso sembra sia la salvaguardia del salario reale. Il governo ha chiesto esplicitamente l’abolizione di tutti gli automatismi salariali. Dato che la scala mobile non c’è più e nemmeno, più o meno, gli scatti di anzianità, per automatismo salariale si deve intendere il riferimento all’Ipca, così come disciplinato già dall’accordo sulla struttura contrattuale del 2009. Sale l’inflazione, si conteggia questa crescita e al momento del rinnovo dei contratti si aumenta in uguale percentuale il salario. Non proprio uguale, perché nel conteggio non si tiene conto di alcuni fattori, come l’aumento dei prezzi dell’energia importata.
Questo collegamento stretto a giudizio del governo va eliminato. Gli imprenditori sono tentati dall’idea di seguire il governo, i sindacati si oppongono fermamente. Nelle ultimissime battute del negoziato sembra che la richiesta dei sindacati, di ignorare questa sollecitazione del governo, sia stata accettata anche dagli imprenditori. Se è così, decisione saggia, in linea di principio, ma anche strumentalmente nella considerazione dello stato della crisi economica che ci opprime. Il punto debole della nostra economia è la scarsa domanda interna, se si deprimono i salari questa non può non decrescere e la ripresa allontanarsi.
La Cgil ha messo sul tavolo però anche un altro argomento, quello della presenza (o non presenza) della Fiom al tavolo del rinnovo del contratto di metalmeccanici. Tema importante, ma di difficile soluzione politica. Fim e Uilm, e anche Federmeccanica, non hanno invitato la Fiom perché si trattava di rinnovare un contratto che la Fiom non aveva firmato e non aveva mai riconosciuto come valido. Non hanno voluto al tavolo delle trattative chi, a loro avviso, avrebbe ostacolato il normale svolgersi del dialogo anziché agevolarlo.
La confederazione di Susanna Camusso insiste perché la Fiom sia riammessa a quel tavolo in quanto l’accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria del 28 giugno 2011 prevede esplicitamente che partecipi alle trattative contrattuali chiunque rappresenti il 5% dei lavoratori. E la Fiom certamente raccoglie più del 5% dei lavoratori meccanici. Il punto è che quell’intesa, pur firmata da tutti, non è poi stata applicata. Mancano i regolamenti attuativi, mancano le norme che consentano di sapere chi rappresenta chi. Non a caso l’accordo sulla produttività, quello che si sta trattando in questi giorni, dovrebbe ribadire i principi stabiliti nel 2011 e renderli effettivi. Se le confederazioni avessero fatto quello che dovevano fare, applicare l’accordo una volta firmato, non sarebbe sorto il problema, perché il caso della Fiom sarebbe stato risolto sul nascere.
Ma vale la pena di bloccare questo accordo generale, destinato ad accrescere la produttività dell’apparato produttivo (il che peraltro non è certo dimostrato), solo perché la Fiom non è stata invitata a quel tavolo? Non varrebbe di più firmare l’accordo e assicurarsi così che non ci saranno più esclusioni politiche? Tanto più in quanto pende il rischio di un accordo separato, che sarebbe molto pericoloso, perché sembra difficile dettare le regole della contrattazione e della rappresentanza senza il consenso del più grande sindacato. L’esperienza del 2009 dovrebbe consigliare di evitare questa soluzione che non sarebbe tale perché non risolverebbe i problemi aperti.
Massimo Mascini