Il diario del lavoro prosegue il suo approfondimento sulla trattativa in corso tra Commissione Europea, Consiglio dei Ministri Agricoli e Parlamento Ue sulla Politica Agricola Comune.
Pietro Sandali, capo area azione economica di Coldiretti, come sta andando la trattativa?
La strada è ancora lunga. Rispetto alla proposta inizialmente avanzata dalla Commissione sono stati fatti molti cambiamenti. In particolare si prevedono numerose deroghe.
Anche voi avete chiesto cambiamenti?
Assolutamente sì. Per esempio sul greening (i pagamenti all’agricoltura verde che rientrano nel cosiddetto processo di inverdimento della Pac.) che da solo riguarda il 30% degli aiuti. Le norme proposte favoriscono pesantemente i paesi del nord Europa.
Perché?
Le aziende che vogliono ricevere i fondi per l’agricoltura verde dovrebbero rispettare tre criteri. Il primo prevede l’obbligo di praticare a rotazione tre colture. Ora è evidente che si tratta di una regola che favorisce i paesi nordici, non si possono, infatti, estirpare viti, frutteti od ulivi.
Anche la norma che prevede la creazione di un’isola ecologica sul 7% della superficie complessiva dell’azienda danneggia l’Italia dove le aziende sono mediamente piccole. Le cose vanno meglio per quanto riguarda il mantenimento dei pascoli. Si può dire però che in generale queste norme scoraggerebbero l’agricoltore a investire nell’agricoltura verde invece di incoraggiarlo.
Vuol dire che con queste proposte l’Unione Europea otterrebbe l’opposto di ciò che si è prefissata?
Certo, perché se le regole sono inapplicabili o troppo farraginose alla fine gli agricoltori si chiedono se conviene davvero ripestare tutte queste norme per avere poi sempre meno fondi.
E’ evidente che paesi mediterranei, come il nostro, dove sono ampiamente praticate colture stanziali, come gli uliveti, la vite e gli alberi da frutta, non hanno di certo interesse a sradicare le piante, mandando in fumo investimenti di anni, per ricevere qualche aiuto.
Le proposte sono state cambiate?
Si sta trattando. Noi avevamo chiesto che sul greening ci fosse solamente una cornice europea e che poi le norme specifiche fossero decise dai singoli stati. Questo perché i governi nazionali conoscono meglio le specificità delle loro coltivazioni. Questo però non è avvenuto e si è deciso di chiedere molte deroghe rendendo le norme sempre più complesse e farraginose. Tutto l’opposto di quella semplificazione che chiediamo da anni.
Sono stati fatti passi avanti?
Sì, sulla definizione di agricoltore attivo. Noi avevamo chiesto che fossero i governi nazionali a definire questa figura. Questo non è avvenuto, ma la nuova definizione è sicuramente migliore di quella precedente.
Altri cambiamenti?
Viene introdotto il concetto di equivalenza. In pratica si possono ottenere gli aiuti anche non rispettando alla lettera la norma pur che il risultato ottenuto vada nella stessa direzione indicata dalla Pac per il greening.
Da anni si ha l’impressione che l’Italia abbia scarso peso nelle decisioni sulla Politica Agricola Comune.
L’Italia contribuisce di più di quello che riceve e spesso le norme favoriscono altri paesi.
E’ colpa della politica italiana?
Indubbiamente sì. Negli ultimi anni abbiamo cambiato cinque ministri dell’agricoltura. Inoltre, la riforma del titolo V della Costituzione non ha aiutato e quando c’è da gestire i fondi europei si crea un continuo contenzioso tra Regioni e Stato e Regioni tra di loro. Il risultato è che spesso le risorse vengono spese male.
Nei giorni scorsi il Parlamento Europeo ha respinto il budget Ue. Che ne pensa?
Che, di fatto, i parlamentari non riusciranno a ottenere grandi cambiamenti dal Consiglio Europeo e dalla Commisione.
Il budget europeo decide quanti soldi stanziare per i vari programmi, Pac compresa. Per la prima volta nella storia dell’Unione è stato stanziato meno delle volte precedenti.
Vista la crisi era una decisione nell’aria. Non credo onestamente che il Parlamento riuscirà a ottenere più fondi. Anche in questo caso l’Italia è stata comunque assente e le politiche decise la hanno danneggiata.
Perché?
Si è deciso di stabilire come unico parametro per decidere quanti soldi destinare a ogni paese la superficie agricola utilizzata (Sau). Ora l’Italia è un paese montuoso e quindi ha una superficie utilizzata molto meno vasta di Francia e Germania. Inoltre, per calcolare la Sau si escludono i terreni coltivati ad alberi da frutta o i vigneti. Se si pensa poi che l’Italia contribuisce da sola al 30% delle risorse finanziarie destinate ai paesi dell’Est entrati da poco nell’Unione si capisce quanto siamo penalizzati.
Luca Fortis