Gaetano Sateriale, coordinatore della segreteria generale della Cgil, nella sua introduzione ha spiegato che i dati in possesso del sindacato, che sono stati alla base del piano del lavoro, sono “impressionanti”. Se le previsioni saranno rispettate, ha sostenuto,“generazioni di anziani non vedranno mai la ripresa economica e moltissimi ragazzi avranno come unica possibilità per potersi costruire un futuro l’emigrazione”. Secondo l’esponente della Cgil, “la situazione è molto più grave di quello che si pensi e per fermare il declino bisognerà cambiare il paradigma finora utilizzato: avvalersi solamente delle risorse dei fondi europei per rimediare alle emergenze”.
Secondo Sateriale l’Italia deve sfruttare le risorse sottoutilizzate di cui è piena. “Il piano del lavoro della Cgil – ha detto – è proprio questo. Innanzitutto, bisogna concentrarsi sul lato della domanda e non su quello dell’offerta come è stato fatto negli ultimi 30 anni con politiche del tutto fallimentari. Gli aiuti non devono essere un semplice trasferimento di risorse sul lavoro, ma vedere il lavoro come un’ipotesi di crescita. Il piano – ha aggiunto – è concreto, semplice e prevede interventi nazionali, regionali e comunali”.
Sateriale sottolinea le influenze keynesiane che hanno ispirato il piano, ma, avverte, “ l’impianto non ha nulla a che fare con la vecchia logica dei lavori socialmente utili, anzi vi è perfino la consapevolezza, di stampo shumpeteriano, che alla fine ci sarà una selezione e non tutte le imprese e i settori sopravvivranno. Per questo è importante innovare, creare realtà nuove e selezionare bene i settori su cui puntare”. Bisogna partire, ha puntualizzato, “da tutte quelle sacche di arretratezza che nessuno, nemmeno Bruxelles, ci obbligherà a risolvere. Penso, per esempio, al trasporto pubblico locale, alle risorse artistiche, culturali e ambientali. Ancora, al dissesto idrogeologico o alle scuole che cadono a pezzi”.
Per far funzionare il piano si prevedono diversi livelli di discussione, partendo dai tavoli nazionali per arrivare alla riscoperta dei ruoli delle comunità. “Questo perché non si può avere l’arroganza di conoscere da Roma tutte le realtà territoriali”. Per trovare le risorse, infine, non si devono “aumentare le spese, ma modificare le priorità: occorre una spending review intelligente finalizzata a capire la qualità delle spesa fatta. Si deve poi sconfiggere l’evasione fiscale comunale, semplificare gli atti normativi e avere amministrazioni efficienti”.
Gianni Salvadori, assessore all’Agricoltura e Foreste della Regione Toscana, ha sottolineato come “il coinvolgere le parti sociali a livello locale sia molto positivo”, anche se ha detto di essere d’accordo con Pierangelo Albini, direttore generale di Confindustria, sul fatto che il concetto di comunità nel paese “non sia più solido come un tempo”. E’ necessario, ha detto, “attrarre gli investimenti dal settore immobiliare in cui si sono concentrati negli ultimi anni verso settori produttivi”. L’assessore ha raccontato la sua esperienza in Toscana, dove sono stati raggiunti accordi molto interessanti per rivitalizzare settore in crisi: “L’agricoltura, da sempre considerata la cenerentola tra le varie realtà produttive, è stata al centro di politiche per rafforzare la filiera che si sono dimostrate vincenti. Abbiamo messo in rete più di 1000 aziende, valorizzato i prodotti agricoli e le risorse boschive, anche a fini energetici. Su questo fronte 43 comuni hanno avviato investimenti per lo sfruttamento delle risorse energetiche locali”. Per esempio, la più grande azienda forestale toscana, grazie alla gestione e vendita delle risorse boschive a fini energetici, “compre ormai completamente i suoi costi”. Per quanto riguarda il discorso del coinvolgimento delle comunità, Salvadori ha puntualizzato che “bisogna affrontare il problema dei comitati che spesso tentano di bloccare i progetti nonostante il dialogo che si insatura con le istituzioni. Il loro coinvolgimento è estremamente importante, ma bisogna evitare le paralisi”.
Guido Mulé, direttore del personale di Alenia Aermacchi, gruppo Finmeccanica, ha raccontato come l’Alenia abbia reagito alla crisi attraverso un piano che non ha previsto i “classici esuberi”, ma che anzi ha puntato sulle assunzioni. “Come azienda – ha detto – pensiamo che la nostra risorsa più importante siano i dipendenti e quindi quando abbiamo affrontato la crisi abbiamo ritenuto che sarebbe stato un errore procedere con tagli che avrebbero solamente portato per Alenia perdite di “know how”. Si è quindi deciso, ha spiegato, “ non solamente di aggiornare le competenze dei lavoratori attraverso la formazione, ma addirittura di assumerne di nuovi. L’azienda ha anche investito risorse molto ingenti nelle ricerca e sviluppo. Tutto questo ci ha permesso di diventare sempre più competitivi”. Sul fronte occupazionale, ha specificato, “abbiamo creato un percorso per la l’assunzione di 500 persone, stabilizzato 400 lavoratori con contratti in somministrazione. In particolare le nuove assunzioni sono avvenute a Sud, anche grazie al lavoro delle regioni Puglia e Campania che hanno trovato le risorse per la formazione”. In questo percorso, ha concluso, “ci ha aiutato molto il rapporto con i sindacati, come dimostra l’ottimo protocollo firmato tra Finmeccanica e si sindacati”.
Pierangelo Albini, direttore centrale di Confindustria, ha condiviso la necessità di un modello di crescita alternativo a quello esistente e ricordato che nel corso della campagna elettorale erano state presentate al governo due ricette ( il piano del lavoro della Cgil e il manifesto della Confindustria) che, pur mostrando differenze evidenti, convergevano su quelli che sono i problemi del paese.
Rispondendo alla richiesta esplicita di Sateriale di intervenire direttamente sul piano del lavoro per capire come migliorarlo e trasformarlo, Albini ha sottolineato che prima occorrerebbe affrontare due considerazioni preliminari: innanzitutto cosa si intende con il concetto di comunità e territorio e quale idea ha il paese dello sviluppo, poi in che modo si prendono le decisioni, facendo scelte di maggioranza e dandosi delle regole che le minoranze devono seguire.
Il problema fondamentale per il direttore di Confindustria, infatti, è che nel paese non si effettuano scelte importanti, che dovrebbero venire dall’alto.
Albini ha ricordato la crisi che vive il settore manifatturiero con un calo del 15%, come evidenziato dall’ultimo rapporto del Centro studi di Confindustria, al quale si può rispondere solo con una politica industriale e scelte coraggiose. In merito, invece, al tema del lavoro e al tavolo avviato con il ministro Giovannini, Albini ha ribadito la necessità, già manifestata al ministro, di scegliere un metodo di lavoro e avere obiettivi chiari. Questi due punti fermi diventano indispensabili in caso di emergenza. E’ importante abbandonare le politiche passive, ha concluso Albini, ma investire in quelle attive, semplificando il più possibile, con riforme “fatte con la gomma e non con la matita, cancellando norme e non scrivendone altre”.
Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil ha spiegato il ruolo fondamentale che può avere l’edilizia nel rilancio dell’economia del paese, come previsto anche dal piano del lavoro della Cgil. “E’ importante un cambio radicale di prospettiva, per rimettere al centro il lavoro e affrontare lo stato di emergenza in cui si trova il paese”.
Una delle proposte interessanti, a suo avviso, del piano del lavoro è quella di valorizzare i ruoli della comunità ai fini dello sviluppo, riscoprendo il valore della programmazione.
L’edilizia, ha detto il sindacalista, è al centro della crisi, sia congiunturale che di sistema per gli errori commessi in passato, ma per la stessa ragione è al centro del progetto di uscita dalla crisi.
L’opera prioritaria è la messa in sicurezza del patrimonio edilizio, che va legata al tema del risparmio energetico e dell’innovazione dei materiali da costruzione.
Altro punto su cui intervenire è l’assetto produttivo delle imprese. Occorre costruire meno case, impiegare sempre più montatori e meno muratori.
Importante per il settore è anche quello di condividere le scelte strategiche e in questo senso, ha detto Schiavella, la categoria degli edili vanta un rapporto unitario consolidato, come dimostra l’esperienza degli Stati generali.
Vanno decise le priorità, allentati i vincoli del patto di stabilità, stabilite le regole sulla struttura produttiva, previsti strumenti legislativi, piani regolatori e regolamenti edilizi per evitare evasione fiscale e illegalità. In questo senso, ha concluso il segretario generale della Fillea Cgil, bisogna distinguere tra quei provvedimenti che sono d’impaccio alla crescita e quelli che lasciano spazio a imprese poco serie. E in questo “abbiamo tutti un ruolo fondamentale”.
Pierpaolo Baretta, sottosegretario all’Economia, ha ritenuto che alcune suggestioni presenti nel piano del lavoro della Cgil meritavano di essere riprese, soprattutto per capire quali contributi può dare il governo a questo cambio di prospettiva. Innanzitutto, Baretta ha riconosciuto che il modello di crescita occidentale non basta più, ma la riorganizzazione globale dell’economia obbliga a una riflessione più coraggiosa. Per questo, ha spiegato, i parametri di riferimento, intesi come fattori di crescita, sono il primo punto su cui ragionare. Le altre due questioni fondamentali, poi, a suo avviso, sono il welfare, rispetto al quale secondo Baretta, bisogna porsi la domanda se lo Stato sia in grado di dare una risposta sufficiente a una domanda sociale incomprimibile e occorre mettere in discussione l’idea che l’universalismo coincide con il pubblico, e la politica industriale di sviluppo, che in Italia manca da oltre quindici anni. Politica industriale che non deve ricorrere solo in difesa del settore manifatturiero, del turismo, della cultura o della logistica, ma che deve guardare anche a quei casi di vertenze industriali, quali Fiat, Ilva e crisi della pmi, rispetto alle quali “non vale – ha detto Baretta – quanto detto da Albini che debba essere la sola politica a decidere, ma è necessaria un’assunzione di responsabilità anche da parte dei rappresentanti delle imprese e dei lavoratori”.
Un contributo importante del governo può arrivare invece, ha continuato, dall’allentamento dei vincoli del patto di stabilità per i comuni, sia per quanto riguarda il dissesto ideologico e la cura e la manutenzione del territorio, sia per quanto riguarda la manutenzione straordinaria degli edifici pubblici, a cominciare dalle scuole.
La questione fondamentale, ha ricordato il sottosegretario all’Economia, rimane sempre quella delle risorse che servono per sostenere questi interventi. Il 2013, ha spiegato, “continuerà ad essere un anno del rigore. Il problema in merito alla disponibilità delle risorse non sarà quello di dire sì o no, ma di procedere prima o dopo”.
Infine Baretta è tornato sulle richieste degli imprenditori di ridurre la pressione fiscale, in particolare del presidente di Confcommercio Carlo Sangalli che ha chiesto l’eliminazione dell’Iva, e del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che ha chiesto l’abbassamento del cuneo fiscale.”Ogni richiesta è giusta –ha osservato- ma è impossibile realizzarle tutte e bisogna attribuire delle priorità”. Siccome non ci sono le risorse, per evitare un aumento ulteriore della pressione fiscale, secondo il sottosegretario, occorre ragionare sulla spesa. In questo senso il governo ha individuato tre strade: la spending review, con controllo dei costi della pubblica amministrazione, un’analisi sulle agevolazioni, che si è calcolato fanno perdere allo Stato circa 250 miliardi di introiti, per capire se è possibile ridurre qualcosa, il rapporto Gavazzi che prevede tagli ai contributi pubblici alle imprese.
Ora secondo Baretta non può arrivare una decisione unilaterale dall’alto, ma occorre una discussione trasparente, anche conflittuale, tra tutti i soggetti coinvolti, perché l’unica strada percorribile è quella di un’assunzione collettiva delle responsabilità, che attraverso la concertazione, il negoziato, il confronto, dia una risposta rapida all’emergenza attuale.
Carlo De Masi, segretario generale della Flaei Cisl è intervenuto a nome del settore elettrico, ricordando quanto il tema dell’energia sia determinante per la competitività delle imprese. La situazione è drammatica, ha detto il segretario generale della Flaei, i costi dell’energia continuano ad aumentare a causa dell’incremento dei prezzi dei carburanti e delle accise, non si vede via d’uscita. Di fronte a questa situazione drammatica – ha proseguito il sindacalista – non possiamo aspettarci aiuti da parte del governo, dove lo stesso ministero dello Sviluppo economico dovrebbe cambiare il suo nome in “ministero della crisi”, dal momento che non fa altro che gestire crisi industriali. Nessuno assume più perché i costi sono troppo elevati, mentre si potrebbero sperimentare soluzioni come, ad esempio, agevolare le assunzioni per 5 anni, introducendo il cuneo fiscale per le aziende e il credito d’imposta.
Il settore elettrico sta vivendo un momento molto difficile, ha detto De Masi, la liberalizzazione non ha prodotto i benefici auspicati rispetto agli investimenti che sono diminuiti, alle tariffe che sono aumentate, all’occupazione che è stata devastata, con la perdita di 100mila addetti circa.
Un altro fattore che, a suo giudizio, alimenta la crisi del settore è il calo della domanda di energia conseguente alla contrazione dei consumi, con 30-35 impianti fermi perché obsoleti e inefficienti e la conseguente scelta di comprare energia dalla Francia. La crisi è stata aggravata anche, ricorda il sindacalista, dallo sviluppo delle rinnovabili che ha favorito la componentistica estera e i fondi di investimento stranieri, oltre gli interventi della malavita, e dall’opposizione a prescindere a qualsiasi infrastruttura energetica. Nonostante ciò, il sindacato ha cercato di dare il proprio contributo, valorizzando la contrattazione aziendale: ha accompagnato tutti i processi di trasformazione, ha rinnovato l’accordo sul diritto di sciopero del 1991, ha sottoscritto accordi per gli ammortizzatori sociali con tutte le grandi imprese di produzione, ha definito con l’Enel il primo accordo per gestire l’uscita di 3.500 addetti, prevedendo l’assunzione di 1.500 giovani con contratti di apprendistato.
Di fronte a questo scenario devastante, il settore elettrico, ha sottolineato De Masi, può fornire un contributo determinante per ridurre i costi dell’energia per famiglie e imprese, rilanciare lo sviluppo e l’occupazione, rispondere alle necessità di preservare l’ambiente per le generazioni future. Per raggiungere questi obiettivi la Flai ha elaborato quattro proposte sul sistema elettrico nazionale da presentare a Parlamento, governo e associazioni datoriali, per avviare un confronto costruttivo sulle possibili soluzioni per far uscire il settore dalla crisi.
In particolare, ha concluso De Masi, il sindacato degli elettrici della Cisl propone di smantellare, bonificare o restituire alla cittadinanza i 35 siti inattivi, unificare le reti e sottoporle a controllo pubblico con la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori, razionalizzare l’energia puntando a risparmio energetico e rinnovabili di nuova generazione, realizzare un parco tecnologico, con sinergie tra aziende, per la bonifica ambientale e la gestione dei rifiuti, non solo radioattivi ma anche tutti quelli ad elevato impatto ambientale.
Michel Martone, ex vice-ministro del Lavoro, ha riportato il discorso sulla crisi della politica. Infatti a suo avviso è molto importante una divisione dei ruoli, dove ognuno si assume le responsabilità del proprio operato. L’ex vice ministro ha ricordato la fase del governo Monti, sottolineando la carenza del compito della politica che si era impegnata a riformare gli assetti istituzionali, a cominciare dal titolo V, lasciando ai tecnici le misure di sacrificio e il lavoro sporco, ma che poi nella realtà non ha portato a termine nessuno degli impegni presi. “La politica ha smesso di decidere” – ha detto l’ex vice ministro – mentre il governo Monti “ha preso decisione dure”. In campagna elettorale, invece, ha ricordato Martone, le proposte più significative sono arrivate, nel bene e nel male, dalle parti sociali, da Confindustria, Cgil, Cisl e Rete imprese Italia.
Martone ha dato un giudizio positivo sul piano del lavoro della Cgil, pur ritenendo che le amministrazioni locali hanno fatto finora molto poco per il lavoro, mentre gli unici passi avanti che sono stati fatti sono da attribuire alle parti sociali. Per l’ex vice ministro il piano della Cgil sopravvaluta lo Stato che, ribadisce Martone, dovrebbe tornare a scegliere, prendersi le proprie responsabilità affinché il paese non rimanga fermo dov’è.
Alessandro Genovesi, segretario generale della Cgil Basilicata, ha portato l’esempio della Regione Basilicata dove è stato applicato il piano del lavoro non solo della Cgil ma unitario. Per fare questo, ha spiegato Genovesi, le parti coinvolte hanno utilizzato una piccola concentrazione di risorse, 880 milioni di fondi comunitari e 100 milioni ricavati dall’estrazione del petrolio. Hanno poi effettuato una selezione tra i settori, privilegiando quelli più remunerativi e sui quali la Regione risultava più competitiva, anche se questo ha provocato un conflitto con la Confindustria locale che pretendeva, ha detto il sindacalista, risorse a pioggia su tutti i comparti industriali. Selezionare, ha spiegato, ha portato alleanze e rotture con alcuni tessuti imprenditoriali, ma ha anche dimostrato che quando si agisce sulla domanda si crea offerta. Ad esempio le risorse investite nella forestazione hanno permesso di riattivare la centrale Enel del mercure.
Altro punto importante è ricorrere a una spending review finalizzata, ossia si decide di spendere coerentemente quanto deciso insieme. Genovesi, su questo tema, ha riportato come esempio la decisione di chiudere 7 piccoli ospedali che ha permesso alla Basilicata di risparmiare 21 milioni di euro, per poi reinvestirne 12 in servizi forniti dal 118 e 9 per l’abolizione dei ticket sulle visite specialistiche, garantendo il diritto alla salute dei cittadini. Gli esempi fatti, ha sottolineato il sindacalista, sono la dimostrazione concreta che quando si fa sistema le cose sono fattibili.
Un altro problema importante affrontato è stato quello della disoccupazione. In Basilicata si sono persi 21mila posti di lavoro. Il piano del lavoro, con il contributo della coesione sociale, punta a recuperarne oltre la metà, creando occupazione di qualità, e non potendo assorbire tutto il bacino dei disoccupati si pone il problema del sostentamento.
Davide Calabrò, senior vice-presidente, responsabile risorse umane di Eni Corporate, ha raccontato la non facile esperienza del gruppo petrolifero a Porto Torres, dove l’Eni di fronte a un sito industriale costruito durante gli anni della cassa del Mezzogiorno e considerato ormai non più produttivo, ha sviluppato con l’accordo sindacale, un progetto per la chimica verde.
I problemi, ha detto, “sono nati l’incredibile burocrazia. Anche dopo che avevamo messo d’accordo tutte le parti istituzionali, il progetto è andato a rilento per colpa dei lacci e laccioli più incredibili. E’ bastato un semplice funzionario amministrativo di un piccolo comune per bloccare tutto per sei mesi”.
“Per questo motivo – ha sostenuto Calabrò – quando si parla di scelte condivise su territorio bisogna tener contro del fatto che una volta capita la direzione che si vuol prendere si deve poter marciare spediti. Invece, in Italia c’è sempre il pericolo di essere fermati e di trovarsi in una vera via crucis burocratica”. “L’Eni – ha spiegato – nonostante i 500 milioni investiti nel progetto per la riconversione di un sito industriale che produrrà biochimica in partnership con la Novamont e nonostante abbia il sostegno di tutti, sindacati e istituzioni, ancora non riesce a completare l’opera”. “In oltre – ha aggiunto – in troppi hanno un potere di veto. Questo rallenta moltissimo la fase decisionale”.
Riguardo alle relazioni industriali, Calabrò ha concluso dicendo che l’Eni e i sindacati hanno firmato un protocollo “semplice e pragmatico” e che la società ha deciso di puntare tutto sull’innovazione tecnologica, “unica carta che si può giocare per rimanere sul mercato”.
Paolo Pirani, segretario confederale della Uil, ha messo in luce come nel ragionamento di Gaetano Sateriale vi siano suggestioni figlie di Keynes e Roosvelt. Il sindacalista ha osservato, riguardo al coinvolgimenti delle comunità nelle decisioni da prendere, “come non sia la prima volta che in Italia si propongano idee simili”, ma ha detto “in passato non hanno funzionato”.
Pirani ha ricordato gli anni del governo Prodi in cui si sono tenuti molti tavoli con tutte le istituzionali per affrontare cambiamenti epocali come, per esempio, le privatizzazioni.
“Una volta – ha raccontato – in uno di quei tavoli un politico molto importante ed esperto mi disse: non abbiamo più il potere e la capacità di imporre una visione”. Aveva ragione, ha sostenuto Pirani, “il punto debole del piano del lavoro della Cgil è proprio avere fiducia in delle istruzioni e nella politica che non hanno più la capacità di guidare”.
“Il paese – ha sostenuto poi – deve tornare a guardare al settore manifatturiero perché senza di esso in futuro saremo ai margini della globalizzazione. Inoltre, sarà necessario sfruttare meglio le risorse culturali e ambientali per rilanciare il turismo”.
Il sindacalista ha anche notato come “uno dei maggiori problemi che l’Italia affronta è la crisi di un Europa che ha una moneta senza un governo dietro”. Non a caso, ha aggiunto, “ i ministri dell’economia italiani provengono ormai sempre dalle banche, perché la politica europea, in assenza di un governo centrale, la fa la Bce”.
Massimo Forbicini, responsabile delle relazioni industriali di Vodafone Italia, ha detto di essere d’accordo con chi dice che il lavoro è una “priorità”. “Bisogna puntare molto – ha sostenuto – sui settori ad alta tecnologia e sulla digitalizzazione del paese. Questo è uno dei maggiori handicap dell’Italia e nessuno ne parla. Ma senza questi settori il paese non avrà alcun futuro”.
Forbicini ha parlato anche dell’accordo sugli esuberi Vodafone firmato da poco con i sindacati.
Il nostro tentativo, ha detto, “è stato quello di mettere il lavoratore in condizioni di poter progettare il suo futuro. Non servono solamente gli ammortizzatori sociali, ma la capacità di sapere anche cambiare lavoro. Esistono mercati avanzati in cui questa è una prassi normale”. “Per far questo – ha aggiunto – bisogna essere disposti a riconvertire le proprie esperienze e conoscenze”.
Forbicini a quindi ricordato gli anni in cui lavorava nel Nord Europa, zona in cui vi è molto più “interscambio tra diversi settori”.
“Un tempo – ha poi ricordato – l’Italia era un paese in le relazioni industriali hanno fatto la nostra storia”. E’ ora quindi, ha concluso il suo intervento “che le imprese si occupino delle problematicità sociali e i sindacati comprendano affrontino i problemi economici”.
Conlusioni Gaetano Sateriale, coordinatore della segreteria generale della Cgil
Tutti gli interventi – ha concluso Sateriale – hanno, chi più chi meno, espresso giudizi positivi sulla complessità del piano del lavoro, ritenendo però la sua applicazione secondaria alla risoluzione di alcuni problemi prioritari, a partire dalla crisi della politica, dalle difficoltà a livello europeo, dalla necessità di riformare gli assetti istituzionali, dalla mancanza di coesione sociale, fino ad arrivare all’assenza di politica industriale e di welfare. Di fronte a tutto questo elenco di problemi, secondo Sateriale, si farebbe prima a cambiare paese, ma questo, ha detto, non si può fare e pensare a tutte queste difficoltà oggettive paralizza ed è alla fine una scorciatoia mentale per non fare nulla. Le forze sociali, invece a suo avviso, hanno il dovere di intervenire nel paese reale. O il piano del lavoro non funziona, o funziona a prescindere, o ha la possibilità di cercare di andare nella direzione giusta che non realizza il cambiamento ma lo incita, con l’obiettivo di intervenire concretamente.
Il sindacato c’è ovunque, ha ricordato Sateriale, anche nei piccoli comuni; la politica, invece, non c’è dappertutto e le imprese sensibili a rimettere il lavoro al centro per contribuire allo sviluppo del paese non ci sono ovunque, ma vanno cercate.
Non è vero che i territori sono fermi e che le amministrazioni locali non fanno nulla. Le comunità – ha concluso – si stanno muovendo, attrezzando, e anche se i territori hanno delle contraddizioni, non possiamo far spegnere quelle fiamme.