Doveva svolgersi oggi l’incontro al Ministero dello Sviluppo economico tra la Indesit e i rappresentanti sindacali, ma l’appuntamento è stato rimandato. L’azienda ha presentato a giugno un piano industriale che prevedeva esuberi e delocalizzazioni, a cui sono seguite subito la risposta dei sindacati e la protesta dei lavoratori. Ad oggi, l’azienda di elettrodomestici ha apportato delle modifiche al piano iniziale, ma non sono sufficienti per garantire il futuro dei siti produttivi e degli operai. La trattativa resta dunque aperta, in attesa di essere discussa nuovamente in sede ministeriale. Ne abbiamo parlato con Anna Trovò, segretario nazionale della Fim Cisl.
Come sta andando la trattativa Indesit? Cosa propone l’azienda?
L’azienda il 4 giugno aveva prospettato un piano industriale con riallocazioni in Turchia e Polonia e in parte negli stabilimenti italiani. Si parlava di 1.425 esuberi. Dopo che i sindacati hanno protestato dicendo che tutto ciò era insostenibile, l’azienda ha modificato il suo piano, ma sono modifiche a tutt’oggi insufficienti. Sono apprezzabili, sì, ma continuano a produrre un numero elevato di esuberi e un’incertezza sulle prospettive aziendali.
Si è parlato sui giornali di un “ricatto” aziendale. Di cosa si tratta?
Dall’inizio l’azienda sostiene che riorganizzare in questo modo la produzione sia necessario. Ha chiesto il consenso dei sindacati minacciando, in caso contrario, di portare avanti unilateralmente il piano senza avere accesso agli ammortizzatori sociali.
Quali sono le richieste dei sindacati?
Noi vogliamo fare l’accordo, ma con contenuti sufficientemente garantiti sia per quanto riguarda l’aspetto occupazionale che quello produttivo. L’azienda lega una parte del riassorbimento degli esuberi a un recupero produttivo, a un potenziamento della produzione. Sembra affidarsi all’ottimismo, ma nel settore del bianco la Indesit ha perso un volume enorme, pari al 50% tra il periodo pre-crisi e oggi. Si fanno previsioni produttive da qui a 4 o 5 anni, e si possono pensare positivamente o negativamente, ma sono comunque previsioni teoriche, senza prove concrete. Come si fa a rendere più solide le produzioni? Investendo molto sui nuovi prodotti in modo da renderli più vendibili rispetto agli altri, e questo operando non solo sulla politica del prezzo, ma anche sulla qualità del prodotto, per farlo divenire migliore.
Cosa vi aspettate dal prossimo incontro?
Ho appena saputo che l’appuntamento è stato nuovamente slittato: ora è fissato per l’11 novembre. Noi sindacati abbiamo chiesto al governo un maggior interesse sulla questione, ma per ora non ci è arrivata nessuna risposta. Devono essere fatte migliori modifiche al piano aziendale, alle singole fabbriche si devono garantire produzioni sufficienti per occupare le persone. Insieme si deve costruire una modalità operativa che non sacrifichi le persone e i siti produttivi, dando prospettive più concrete.
Sono molte le aziende che si avviano ad effettuare esuberi o a chiudere l’attività. Lei vede uno spiraglio di luce per il futuro, o pensa che il periodo buio continuerà ancora per molto?
Guardando ora al settore elettrodomestici, di cui io mi occupo, non vedo elementi di luce. Ogni giorno va sempre peggio. Bisogna rafforzare l’idea che, a livello istituzionale, serva guardare con più forza all’economia, all’industria e alla manifattura. C’è un estremo bisogno di effettuare delle scelte che diano maggiore fiato alle imprese.
Lucia Mancini