di Raffaele Delvecchio
Il primo accordo sindacale sottoscritto dopo la caduta di Mussolini fu quello sulla ricostituzione delle commissioni interne del 2 settembre ‘43 (sei giorni prima dell’armistizio): allo stesso modo in cui si si costruisce una frase, il primo elemento da considerare è il soggetto. La ricostituzione delle commissioni interne non era pacifica: l’accordo venne riformato nel ’47 e nel ’53. La questione riguardava la scelta del canale di rappresentanza dei lavoratori: esterno, il sindacato, interno, il consiglio (lo stesso Gramsci ne aveva scritto negli anni ’20). Per motivi diversi Cgil e Cisl si trovarono d’accordo nel preferire il sindacato e se ben ricordo, l’accordo interconfederale del ’53 non fu recepito nei decreti legislativi fissati dalla legge 741 del ’59. Era il carattere aziendale a sollevare dubbi. E, da questo punto di vista, l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori appare nella struttura originaria come una via intermedia tra le due (“iniziativa dei lavoratori” e “sindacato maggiormente rappresentativo” erano i perni della norma). Echi di questo dibattito sono altresì riscontrabili nell’esame propedeutico all’art. 39 della Costituzione che mette insieme soggetto (1° comma) e complemento oggetto (4° comma), al cui conseguimento viene approntato un apparato strumentale (2° e 3° comma). Quando fu chiaro che la legge sulla parte strumentale dell’art.39 della Costituzione non trovava consensi, adempiuti gli oneri a carico delle parti sociali previsti dalla legge 741/59, il 24 marzo 1961 il ministro del lavoro Fiorentino Sullo inviò alle confederazioni di entrambe le parti una lettera-invito a considerare l’opportunità di stipulare un accordo interconfederale, attraverso il quale affrontare almeno una parte dei problemi insorti nel dopoguerra. Gino Giugni scrisse che l’indirizzo al massimo poteva “sfociare sulla disciplina delle attività sindacali, in luogo della regolamentazione diretta dei soggetti sindacali”. La distinzione ha ancora valore a mezzo secolo di distanza, perché quando si sente richiedere l’emanazione di una legge “sindacale” non è chiaro a quale delle due parti ci si riferisca. In questo senso non aiutano la partizione dell’art.39 e la definizione tautologica (così Giugni) dell’art.19 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, risultante dal testo approvato con il referendum del’95 , che ha creato i noti problemi, risolti per il momento con la sentenza 231/ 2013 della Corte Costituzionale. L’ambiguità non riguarda lo strumento, ma il fine che noi ci poniamo: è bene rammentarlo.
L’invito di Sullo andrebbe ripreso: il protocollo del 31 maggio scorso va reso operante con accordo interconfederale. Il dibattito che è seguito è stato fuorviante, perché ha finito per essere monopolizzato ancora una volta dalla valutazione di opportunità di un intervento legislativo, distraendo alcune delle parti dal compito principale. Qual è l’obiettivo? L’attività centrata sul contratto collettivo (erga omnes) o il diritto di tribuna afferente i soggetti (titolo III dello Statuto)? Non si dimentichi che in ogni caso l’accordo “avrebbe il vantaggio di una flessibilità e di una capacità di sperimentazione e di rettifica” (cosìSullo), utile per lo stesso eventuale legislatore. Le parti sociali completino, quindi, il loro lavoro.Giuseppe Pera scrisse nella nota di commento alla lettera di Sullo che potevano essere oggetto di considerazione alcuni problemi ascrivibili alle norme previste dal libro V del codice civile in materia di contratti collettivi e caducate con l’abrogazione dell’ordinamento corporativo (ad esempio, rilevanza delle dimissioni del datore di lavoro dall’associazione e denuncia e revisione dei contratti collettivi). Egli comunque preconizzò che il tentativo di Sullo non sarebbe riuscito, perché il tempo favorevole per un accordo si era esaurito negli anni ’50: ebbe ragione. A noi oggi basterebbe l’adattamento dell’accordo interconfederale del 20 dicembre ’93 sulle Rappresentanze Sindacali Unitarie, se sol si comprendesse che la prossima stagione contrattuale dovrebbe svolgersi con qualche punto fermo in più di quelli in atto e che il tempo è una risorsa “finita”.
Dedico questo scritto alla memoria di Michele Figurati