L’incontro avvenuto oggi con l’Abi, nel quale si discuteva del rinnovo del contratto nazionale del credito, non ha soddisfatto i sindacati di categoria. Il Diario del lavoro ha chiesto al segretario generale della Uilca, Massimo Masi, quali sono stati i motivi di tale esito.
Masi, l’incontro di oggi non ha dato i frutti sperati. Cosa è successo?
Era abbastanza prevedibile. Non è andata bene dall’inizio. Ma andiamo con ordine. Il 20 dicembre, quando abbiamo firmato il Fondo sostegno al reddito e prorogato l’accordo, nel protocollo c’era scritto che entro il 28 di febbraio ci si vedeva per fare il punto della situazione. Questa era quindi una riunione dovuta. La scadenza della piattaforma è a giugno 2014, per cui noi ne stiamo preparando una. Abbiamo un protocollo in cui si dice che per essere valida, deve essere approvata nelle assemblee dal 51% dei lavoratori. Qui sono incominciati i problemi: il capo della delegazione aziendale che ci dice “io non credo che voi abbiate una piattaforma”.
E voi?
E noi sbigottiti. Il capo delegazione non credeva a quello che avevamo in mano, ma qui non stiamo giocando mica a poker. Si sono riferiti a un volantino che avevamo distribuito in passato ai lavoratori, nel quale dicevamo che stavamo ancora preparando una piattaforma: ma in realtà l’abbiamo, anche se non è ancora pronta.
E quando lo sarà?
Contiamo di finirla tra un mese o 40 giorni massimo. Il 20 marzo ci sarà la riunione delle sigle sindacali, dal 24 ci saranno le assemblee dei lavoratori fino a fine aprile al massimo.
Ce la farete in questo lasso di tempo?
Si. Sono consapevole che i tempi che abbiamo sono stretti, ma stiamo andando molto spediti con i lavori.
Ritornando all’incontro, che distanza c’era tra le vostre posizioni?
Direi che le distanze sono abissali, siderali e galattiche, lascio alla fantasia l’aggettivo migliore. Ci rendiamo conto che non tutte le banche sono uguali, ma siccome loro sono divisi, allora la loro politica è solo la riduzione dei costi e abbassamento degli stipendi; questo è il loro minimo comune denominatore. Insomma, sono due modelli che vanno a confliggere tra loro e sarà un scontro molto pesante, date le visioni decisamente diverse.
Avete denunciato che le posizioni dell’Abi sono“retrograde”. In che senso e quali sono?
Nel senso che hanno una visione strettamente numerica. Dicono che i conti vanno male, gli utili sono crollati e che quindi non ce n’è per nessuno. Noi invece abbiamo una visione strategica, intendiamo presentare una piattaforma che sarà su pochi punti: l’area contrattuale, gli inquadramenti e il salario. Ciò che proponiamo è una banca del futuro che non è nelle loro corde, perché aumenta i servizi alla clientela, aumenta l’economia reale del paese.
Per il Fondo esuberi ci sono stati sviluppi?
No, l’accordo l’avevamo siglato il 20 dicembre, quindi aspettiamo che il ministero lo firmi, anche se qui cambiano ministri a una velocità anomala. Abbiamo già avuto un incontro, dobbiamo aggiustare giusto alcune sottigliezze lessicali, ma siamo già a posto, abbiamo i requisiti chiesti dalla legge Fornero e anche per i nuovi esuberi abbiamo già lo strumento pronto.
Cosa pensa a proposito del fatto che le nuove tecnologie rendono ad oggi, secondo l’Abi, non necessarie alcune mansioni?
Che la tecnologia sia sempre più forte è vero, ma solo il 13% delle persone usa l’home banking o altri strumenti bancari informatici. Sappiamo che stanno nascendo delle nuove professioni, quindi si tratta di andarli a cercarli questi nuovi lavori. Sappiamo benissimo in questo periodo avviene una politica di trasformazione, e proprio per questo bisogna quindi aggiornare tutti, anche il personale over 55.
Cosa proponete in merito?
Noi proponiamo di fare un centro servizi, consorzi back office, per non rischiare di portare all’esterno certi tipi di lavorazione. Siamo disponibili ai cambiamenti, ma bisogna essere in due per affrontarli insieme. Da parte nostra non c’è chiusura, anzi: io ho lanciato alcune provocazioni, come la banda larga o l’utilizzo dei database con i nominativi dei clienti per realizzare dei servizi efficienti a 360 gradi, o vendere diversi prodotti bancari. Ma l’Abi non sembra prestare orecchio.
A proposito di idee innovative, sarebbe favorevole a obbligare per legge gli istituti bancari a destinare a favore di famiglie e Pmi almeno una percentuale minima delle somme ricevute dalla banca centrale europea?
Guardi, noi questo problema del non utilizzo delle risorse della Bce destinate alle banche l’avevamo già sollevato. Ci sarebbe piaciuto che di loro iniziativa destinassero almeno fetta questi incrementi di bilancio ad una parte alle Pmi. Il vero problema è che noi stiamo cercando un modello di banca al servizio della clientela e Pmi, loro invece incassano e basta, per fare bella figura con la banca centrale e gli azionisti. Questo è il loro problema, perché pensano più alla loro parte.
Avete già preso un appuntamento per il prossimo incontro?
Si, il 14 aprile. Speriamo di farcela con i tempi. Si aggiungono anche i piani industriali dei diversi istituti bancari, che saranno presentati proprio a marzo e aprile, quindi si accavalleranno gli impegni, perché dovranno aprire i tavoli di incontro. Diciamo che entro aprile presenteremo la piattaforma alla controparte.
Nel caso l’Abi non accetti le vostre richieste, la categoria tornerà in piazza?
Assolutamente si. È chiaro che noi veniamo da uno sciopero riuscitissimo e quindi se le distanze continueranno cosi non potrà che essere questa una risposta. Prevedo però che ad un contratto a come eravamo abituati come zero ore sarà impossibile. Dovremmo quindi chiamare alla lotta la categoria.
Emanuele Ghiani