di Fernando Liuzzi
Se possibile, ed evidentemente deve essere possibile, le distanze tra Fiom e Cgil – innescate dall’intesa del 10 gennaio scorso su rappresentanza sindacale e misurazione della rappresentatività dei sindacati – sono ulteriormente cresciute. È questo, in sintesi, il risultato dell’assemblea dei comitati direttivi provinciali e regionali indetta per oggi dalla Fiom-Cgil e svoltasi, fino alle prime ore del pomeriggio, al PalaAtlantico, uno spazio per concerti sito nel quartiere romano dell’Eur.
La notizia che ci fa parlare di questo ulteriore allontanamento l’ha data Maurizio Landini, l’ormai notissimo segretario generale dell’organizzazione. Il quale, nella sua relazione introduttiva, ha reso noto che la stessa Fiom ha deciso di prolungare autonomamente i tempi della consultazione, già avviata, sull’intesa del 10 gennaio. Mentre, infatti, nelle altre categorie dell’industria e dei servizi privati il referendum promosso dalla Cgil deve terminare entro il 2 aprile prossimo, la Fiom, motu proprio, ha deciso di tenere assemblee e raccogliere voti fino al 7 aprile.
Detto così, la differenza potrebbe apparire modesta. Ma il contesto in cui questo annuncio è maturato ci induce a sostenere il contrario.
La prima differenza fra maggioranza Cgil e maggioranza Fiom, tutta politica, è relativa al giudizio che viene dato sul cosiddetto “Testo unico” firmato da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria il 10 gennaio. Giudizio positivo per la confederazione guidata da Susanna Camusso, negativo per la federazione dei metalmeccanici che ritiene, anzi, necessaria una riapertura del negoziato.
La seconda differenza – apparentemente formale, ma tutt’altro che secondaria – è quella relativa alla platea dei lavoratori coinvolti nella consultazione. Solo lavoratrici e lavoratori iscritti alla Cgil per la confederazione di corso d’Italia, l’insieme dei metalmeccanici per l’organizzazione di corso Trieste. Col risultato prevedibile di produrre risultati non comparabili perché, a occhio e croce, sarà impossibile sommare ai voti raccolti tra i lavoratori chimici, elettrici e tessili iscritti alla Cgil, gli eventuali (ancorché improbabili) voti di metalmeccanici iscritti a Cisl e Uil. Perché, come ci insegnavano alle elementari, l’aritmetica vieta di sommare grandezze non omogenee.
A ciò, oggi, si aggiunge questa terza, imprevista, differenza. Da un lato la Cgil ha annunciato la sua volontà di rendere noti entro il 4 aprile i risultati della consultazione referendaria. Dall’altro, in quella stessa data, la Fiom sarà ancora impegnata a raccogliere le schede votate.
E tutto ciò senza aver ancora detto niente sul fatto, pure significativo, che il quesito referendario formulato dalla Fiom è diverso da quello immaginato dalla Cgil.
Morale della favola. Nei disegni di Susanna Camusso, l’intesa del 10 gennaio 2014 doveva costituire il punto d’approdo di un percorso di riavvicinamento tra Cgil, Cisl e Uil iniziato con l’accordo del 28 giugno 2011 e proseguito con quello del 31 maggio 2013. Ma questo disegno, evidentemente, non è stato condiviso da Maurizio Ladini che, all’opposto, ha colto l’occasione per segnare in modo ancora più netto l’indipendenza strategica della Fiom da quella casa madre che Giuseppe Di Vittorio chiamava “la grande Cgil”.
È una storia, questa, cominciata come minimo quando a guidare, rispettivamente, Cgil e Fiom c’erano Sergio Cofferati e Claudio Sabattini. I quali, però, quando lo scontro si faceva troppo aspro, riuscivano sempre a ricondurlo entro limiti non distruttivi. Cosa succederà questa volta di qui al Congresso Cgil dell’ormai prossimo mese di maggio?