1. Premessa sulla procedura di contenzioso in sede OIL
L’art. 24 della Costituzione del 1946 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro regola i procedimenti contenziosi che possono essere attivati a quel livello. Secondo questa norma OIL, «tutti i reclami indirizzati all’Ufficio Internazionale del Lavoro da un’organizzazione sindacale o di imprese, per i quali uno dei Membri non avrebbero assicurato in modo soddisfacente l’applicazione di una Convenzione ai quali il Membro medesimo ha aderito, potrà essere trasmesso dal Consiglio di Amministrazione al Governo chiamato in causa e questo Governo potrà essere invitato a fare sulla materia dichiarazioni che riterrà opportuno». Se il Consiglio di Amministrazione ritiene ricevibile il reclamo, lo trasmette al Comitato sulla Libertà di Associazione che è un comitato “tripartito”, istituito in seno all’OIL e che ha l’incarico di esaminare la questione. Al successivo art. 25 si prevede che «…se la dichiarazione ricevuta non risulta soddisfacente al Consiglio, quest’ultimo avrà il diritto di rendere pubblico il reclamo ricevuto e la risposta data» (cfr. per tutti C. Di Turi, Globalizzazione dell’economia e diritti umani fondamentali in materia di lavoro: il ruolo dell’OIL e dell’OMC, Giuffrè, 2007).
La funzione di questo Comitato, dunque, è tipicamente giurisdizionale perché essa svolge il ruolo di “giudice” nel conflitto tra l’Organizzazione reclamante e il Governo riguardo alla corretta attuazione e applicazione delle Convenzioni internazionali. D’altronde, che si tratti di una funzione giurisdizionale è confermato dal fatto che tutte le decisioni assunte da questo Comitato sono state raccolte in forma di “massima” in un Digesto (viene chiamato proprio così e l’ultimo aggiornamento ufficiale risale al 2006) che, quindi, costituisce a tutti gli effetti un riferimento necessario per interpretare il diritto internazionale del lavoro (e delle Convenzioni, in particolare). Quindi, il Comitato sta al Diritto Internazionale del Lavoro, comela Corte di Giustizia Europea (ola Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) sta al Diritto UE, ovvero comela Corte costituzionale italiana sta alla Costituzione.
Solo che, la juris dictio del Comitato ha gli effetti tipici del diritto internazionale del lavoro e direttamente corrispondenti al livello di efficacia delle Convenzioni. Quindi, le pronunce del Comitato, quando accolgono i reclami, hanno soprattutto una funzione di moral suasion verso i Governi. Quindi, si tratta soprattutto di sanzioni a carattere politico che si sostanziano in “raccomandazioni” agli Stati Membri dell’OIL che risultino inadempienti nell’applicazione delle Convenzioni Internazionali e nella garanzia dei principi fondamentali del diritto internazionale del lavoro. Nondimeno, non possiamo neanche escludere che vi possa essere un effetto giuridico sul piano nazionale dal momento che, se lo Stato “sanzionato” dal Comitato ha già ratificato le Convenzioni, il Giudice nazionale (e certamente il Giudice italiano) potrebbe avvalersi della pronuncia del Comitato per suffragare la decisione di violazione della legge italiana in un giudizio fra privati; insomma, sanzionare per violazione delle leggi italiane di ratifica delle Convenzioni OIL.
2. La decisione dell’OIL
Nel maggio del 2012, la CGILdepositò un reclamo contro il Governo Italiano per violazione delle Convenzioni OIL n. 87, 98 e 135 inriferimento all’affaire Fiat-Fiom. Con la decisione n. 2953, il Comitato si è pronunciato contro lo Stato italiano per le ragioni seguenti.
Innanzitutto il Comitato ha ritenuto che il comportamento tenuto dalla Fiat sia illegittimo rispetto ai principi sanciti nelle Convenzioni OIL in diversi aspetti della vicenda, così come sono state indicate dalla CGIL col reclamo, a cominciare dai numerosi profili di discriminazione antisindacale. Infatti – si legge nella Reccomandation – «il Comitato osserva che il presente caso contiene un ampio numero di questioni riguardanti accuse di discriminazioni anti-sindacali di cuila FIOM-CGIL e i suoi iscritti hanno dichiarato di essere stati vittime … [e] nel prendere atto che in alcuni casi, la decisione giudiziaria finale non è stata ancora presa, il Comitato ritiene necessaria ricordare che le discriminazioni sindacali costituiscono uno delle più serie violazione della libertà di associazione, fino a comprometterne la reale esistenza come sindacato» (punto 625). Il Comitato si riferisce ai diversi giudizi finora pronunciatisi sulle differenti vertenze giudiziarie Fiat (dai tre licenziati dello stabilimento di Melfi ai 19 delegati prima non assunti, poi assunti e, successivamente, licenziati, sui quali pende ancora un processo civile e un procedimento penale).
La presente decisione del Comitato è in linea con la sua giurisprudenza consolidata. Sul punto specifico delle discriminazioni in occasione delle nuove assunzioni nella new company, il Comitato aveva già sancito che gli «atti di vessazione e intimidazione compiuto contro i lavoratori in ragione della loro iscrizione o legittima attività sindacale, mentre non necessariamente pregiudicano i singoli lavoratori nel loro impiego, possono scoraggiarli nella loro scelta di iscriversi a un’organizzazione, in tal modo violando il loro diritto di organizzarsi» (Digesto, para. 786). Fin qui la corretta attuazione delle Convenzioni OIL.
Ma il punto peculiare di questo procedimento è che il conflitto giudiziario non riguarda due privati ma un privato e lo Stato in cui quel privato agisce. La decisione del Comitato (come ogni decisione) non riguarda tanto la valutazione del comportamento di Fiat, quanto quella degli Stati nei quali i soggetti privati agiscono. Ciò che rileva è il comportamento dello Stato (e in particolare del Governo), posto che il Comitato ha già chiaramente ammonito che «gli obblighi dei Governi assoggettati alla Convenzione n. 98 e ai principi sulla protezione contro le discriminazioni sindacali coprono non solo gli atti direttamente discriminatori (come retrocessioni, licenziamenti, trasferimenti frequenti, e altro), ma si estendono al bisogno di protezione dei lavoratori impiegati da più sottili attacchi che possono emergere dalle omissioni» (Digesto, para. 788). Perciò, il Comitato ha chiarito, che «la Convenzione n. 135 richiama gli Stati membri che l’hanno ratificata a fornire facilitazioni nell’iniziativa che possano essere appropriate per consentire alle rappresentanze dei lavoratori di svolgere le loro funzioni prontamente ed efficientemente…» (Digesto, para. 1098).
Quindi, l’oggetto dell’attenzione dell’OIL è proprio il comportamento degli Stati non solo se sono direttamente attori dei comportamenti antisindacali, ma anche se non garantiscono l’effettiva applicazione delle Convenzioni. Tant’è che in altre occasioni il Comitato ha affermato che «accordando trattamenti favorevoli o sfavorevoli ad alcune organizzazioni rispetto ad altre, un Governo può essere in grado di influenzare la scelta dei lavoratori sull’organizzazione cui essi intendono iscriversi. Un Governo che deliberatamente agisce in questa maniera viola il principio posto nella Convenzione n. 87 per cui le pubbliche autorità si astengono da ogni interferenza che potrebbero restringere i diritti previsti nella Convenzione o impedire il loro pieno esercizio» (Digesto, para. 340). Perché – secondo la Convenzionen. 87 – spetta al Governo garantire che «la legislazione nazionale non dovrà ledere né essere applicata in modo da ledere le garanzie previste dalla presente convenzione» (par. 8.2) tant’è che «ogni Stato membro dell’OIL per il quale sia in vigore la presente convenzione si impegna ad adottare tutte le misure necessarie ed appropriate al fine di garantire ai lavoratori ed ai datori di lavoro il libero esercizio del diritto sindacale» (par. 11).
In più occasioni il Comitato ha stabilito essere contrario all’art. 2, Convenzione n. 87, il comportamento dello Stato che tollera che vi siano comportamenti analoghi posti in essere da soggetti privati, senza porvi rimedio (para. 342). Questo è il punto chiave della Raccomandazione n. 2953 dell’OIL a carico dell’Italia. Infatti, il Comitato non ha tenuto conto del «principio di non interferenza delle pubbliche autorità in materia di libertà di associazione» invocato dal Governo italiano nella sua difesa. Anzi, il Comitato formula un’esplicita richiesta al Governo italiano: «richiede che il Governo…assuma le necessarie iniziative, per facilitare il dialogo fra Fiat e l’organizzazione ricorrente, che aiuti a prevenire nuovi conflitti di natura simile si presentino all’interno del Gruppo in esame» (punto 625).
Prima fra tutte di queste iniziative, «il Comitato pone particolare attenzione agli argomenti della Corte costituzionale italiana secondo la quale…facendo dipendere il godimento dei diritti sindacali esclusivamente dalla posizione contrattuale con un imprenditore indebolisce, dal punto di vista della contrattazione collettiva, il pluralismo e la libertà sindacale che sono sanciti nell’art. 39 Cost.; e che la norma in questione introduce una ingiustificata sanzione al dissenso, che incide innegabilmente sulla libertà del sindacato di scegliere le forme più appropriate per difendere gli interessi dei loro membri» (punto 618). Il Comitato, dunque, dopo aver avuto conoscenza della sentenza n. 231/13 della Consulta ha ritenuto di sposare integralmente la tesi lì sostenuta perché il principio lì affermato, non solo è conforme alla Costituzione italiana ma anche al diritto internazionale del lavoro: infatti – si legge nella Raccomandazione – «il Comitato ritiene che la sentenza della Corte costituzionale del 3 luglio 2013, favorisce la conformità [dell’ordinamento giuridico italiano] con le Convenzioni OIL e i principi riguardanti la libertà di associazione e di contrattazione collettiva» (punto 619).
Non è questa la sede per approfondire il tema dell’efficacia giuridica nazionale delle Convenzioni OIL e dell’interpretazione data dalla sua giurisprudenza; tuttavia, è del tutto evidente che, oggi, il principio sancito dalla Corte costituzionale – e cioè che un sindacato dotato di effettiva rappresentatività non può essere estromesso dalle istituzioni di rappresentanza sindacale aziendale per la sola ragione di aver manifestato un dissenso rispetto alla decisione maggioritaria degli altri sindacati – è dichiarato essere attuativo del diritto internazionale del lavoro. Ciò vuol dire che la tentazione già diffusa in dottrina di voler vincolare la costituzione di r.s.a. dall’aver partecipato alle trattative come criterio selettivo che possa neutralizzare la mera rappresentatività sindacale, è destinato a cozzare con i principi di libertà sindacale sancito dalle convenzioni internazionali; a maggior ragione se tentativi interpretativi di tal genere fossero basati soltanto su norme collettive, com’è la clausola del Testo Unico sulla rappresentanza del 2014 che – secondo un orientamento – vorrebbe far dipendere la costituzione di r.s.a. dall’aver partecipato alle trattative a seguito di presentazione di piattaforme.
Insomma, oggi, un tentativo di tal genere troverebbe ostacolo non solo negli artt. 3 e 39 Cost. per come sono stati richiamati da Corte cost n. 231/2013, ma anche negli artt. 11 e 117 Cost. che obbligano al rispetto delle consuetudini e dei Trattati internazionali, di cui le Convenzioni OIL n. 87, 98 e 135 sono espressione (oltre che essere già state ratificate dall’Italia).
3. La responsabilità dello Stato Italiano
Ciò detto, il Comitato – nella sua funzione di moral suasion – impegna l’Italia (il suo Governo e il Parlamento) ad assumere l’iniziativa politico-legislativa per conformare il nostro ordinamento giuridico – almeno nella materia della rappresentanza sindacale – ai principi sanciti nelle Convenzioni OIL. Infatti, «il Comitato richiede che il Governo agisca rapidamente su questa materia e lo tenga informato sulle iniziative prese, consultando le parti sociali, per trarre ogni conseguenza legislativa dalla decisione della Corte Costituzionale concernente la definizione di criterio per attribuire il sostegno ai diritti sindacali riconosciuti dall’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, in linea con le Convenzioni OIL e i principi riguardanti la libertà di associazione» (punto 620).
Il Governo italiano, subito dopo la sentenza della Consulta, si era riservato di ricercare soluzioni legislative appropriate riguardo alla materia in esame (punto 602). Tuttavia, il Comitato OIL ha inteso rafforzare quanto già aveva sollecitatola Cortecostituzionale elencando una diversa gamma di soluzioni che potrebbero colmare il deficit di legittimità costituzionale (e oggi anche internazionale) dell’art.19 st. lav.
Si tratta di un ennesimo richiamo, questa volta del tutto inedito per l’Italia, a legiferare in materia di rappresentanze sindacali e a farlo in modo da garantire i principi costituzionali e internazionali in materia di libertà sindacale. Essendo la prima volta che l’Italia subisce un richiamo del genere, occorrerebbe che quanto prima si possa aprire una discussione pubblica nel Paese, che non riguardi né solo l’iniziativa legislativa, ma anche aperta alla consultazione delle parti sociali (come richiesto dal Comitato) e comunque impiantata sui solidi principi di garanzia della rappresentatività e della libertà (di dissenso) sindacale.
4. Una chiosa finale: il Governo italiano e le relazioni industriali
Una richiesta politica dell’OIL all’Italia così perentoria non si è mai posta nella storia repubblicana. A scorrere il repertorio del Comitato OIL, si scopre che l’Italia è stata chiamata in causa solo 10 volte; l’ultima risale al 1979; ma in nessuna delle 9 volte precedenti era mai accaduto di ricevere una “Raccomandazione” così severa, una sorta di “condanna”, peraltro proveniente da un organismo internazionale tanto super partes da dover indurre a definire una volta per tutte il giudizio politico (oltre che giuridico) sulla vicenda Fiat-Fiom.
Si tratta di una Raccomandazione che investe il livello politico istituzionale italiano; un livello che, finora, era riuscito a mantenere un profilo defilato e di terzietà dietro un malinteso rispetto dell’autonomia collettiva e del libero esplicarsi del conflitto collettivo. Ma oggi appare chiaro che si è trattato di terzietà apparente, non solo perché l’intendimento del Governo, prima, e del Parlamento, dopo, si erano già palesati con l’art. 8 del d. n. 138/11 – prima – e legge n. 148/11 – dopo – nel quale, si rammenti, in sede di conversione fu inserito il c.d. “comma Fiat”.
Oggi, l’OIL ci mostra un altro atto politico del Governo Italiano nella vicenda Fiat e più in generale nell’agone delle relazioni industriali italiane. Il Governo italiano che si difende davanti al Comitato OIL adducendo argomenti del tutto simili a quelli che la Fiatha addotto nelle aule giudiziarie italiane dimostra la piena condivisione di quelle tesi: con la comunicazione del 15.10.2012, il Governo Italiano ha dichiarato non sussistere i presupposti della discriminazione dei lavoratori iscritti a FIOM-CGIL quando non furono subito assunti dalla new company Fiat di Pomigliano (punto 601); e sulla specifica questione della rappresentanza sindacale aziendale, dichiara che ai sensi dell’art.19 st. lav. «FIOM-CGIL non sarebbe titolata a prendere parte neanche alle elezioni delle rappresentanze sindacali aziendali, anche se Fiat fosse ancora affiliata a CONFINDUSTRIA, perché il sindacato non ha approvato, né accettato, il contratto collettivo nazionale di settore firmato da CONFINDUSTRIA e gli altri sindacati» (punto 597). Insomma, un pieno e convinto assenso alle tesi sostenute da Fiat, nonostante fossero già noti alcuni decreti di Tribunale che avevano dato una diversa interpretazione dell’art.19 st. lav. (per esempio, il Tribunale di Bari si pronunciò il 20 aprile 2012) e che avevano almeno sollevato i dubbi di costituzionalità (il tribunale di Modena rimise la questione alla Consulta il 4 giugno 2012). Si sarebbe potuto mantenere un atteggiamento più prudente; ma il Governo assunse una chiara posizione a favore di Fiat e contro Fiom-Cgil.
Allora, il Governo Italiano, dopo essere stato coinvolto da FIAT nella contesa sindacale con l’audizione alla Camera dei Deputati sul piano di investimenti, non solo è rimasto inerte di fronte ai comportamenti discriminatori e lesivi della libertà sindacale di FIOM-CGIL – come ha accertato il Comitato OIL – ma ha addirittura perorato la causa di Fiat utilizzando gli stessi argomenti dell’Azienda e, addirittura, facendo formalmente propri i suoi argomenti. Infatti, nonostante l’art.19 St. lav. fosse stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale italiana, il Governo Italiano, con un’ulteriore comunicazione del 18.9.2013, ha presentato un documento preparato direttamente da Fiat che, evidentemente, non ha sortito gli effetti sperati ma induce a fare una considerazione finale.
Il Governo ha assunto un ruolo nel conflitto Fiat-Fiom parteggiando con Fiat con un comportamento omissivo rivendicato dinanzi all’OIL. A dispetto della presunta non interferenza con le relazioni industriali, il Governo (da quello Berlusconi, a quello Monti, a quello Letta) sono intervenuti nelle relazioni industriali, sia promuovendo atti legislativi sia con azioni politiche. Non vi è nulla di sorprendente in ciò, perché è naturale che l’Attore politico-istituzionale sia interessato alle relazioni industriali; quello che non è consentito è contrabbandare le proprie posizioni come “neutralità” nel conflitto.
Peraltro, parzialità del Potere Esecutivo (seguita dalla parzialità del Potere Legislativo) non tenuta in considerazione a fronte di quella corrente di pensiero che invece ha stigmatizzato il c.d “interventismo” del Potere Giudiziario (ordinario e costituzionale), intravedendovi una indebita interferenza sulla libertà del sistema intersindacale. Il punto è che spetta al Potere Esecutivo osservarela Cartacostituzionale italiana e i principi del Diritto internazionale del lavoro, sicché la tenuta del sistema ordinamentale ci costringe a valutare diversamente la “parzialità” del Potere Esecutivo e del Potere Giudiziario costituzionale; il Governo ha preso le parti di Fiat;la Corte Costituzionaleitaliana e il Comitato OIL hanno preso le parti dell’Ordinamento Giuridico. Questa è la democrazia costituzionale.